Dolcenera è al Festival di Sanremo con il brano intitolato “Ora o mai più”, una canzone concettuale che la cantautrice salentina porta sul palco in maniera sofisticata, intima e raffinata. La cantante è intervenuta in conferenza stampa all’interno della Sala Lucio Dalla. Ecco le dichiarazioni:
Come reagisci alla zona rossa?
Mi hanno dato la notizia mentre ero al Dopofestival, mi sono sentita come una mamma che viene legata mentre intanto le picchiano il figlio. Questa sensazione me la posto dietro cercando di sdrammatizzare. Ora o mai più è il frutto di un flusso creativo unico, parole e musica sono arrivate insieme, diversamente da quanto avviene di solito. Il testo racchiude il messaggio di una donna che legge all’interno della propria anima individuando lo status del proprio percorso individuale all’interno di un rapporto di coppia.
Il brano potrebbe essere interpretato come una seconda puntata di “Ci vediamo a casa”?
Credo nell’evoluzione personale, una cosa per me fondamentale. Non bisogna rimanere uguali a se stessi. In quanto ascoltatrice pretendo che all’interno del percorso di un cantautore ci sia sempre un’evoluzione.
La canzone potrebbe essere emblematica di una tua nuova fase di scrittura?
Si è trattato di un attimo, chissà cosa succederà dopo! Penso che non sia il caso di fossilizzarsi in un unico modulo fortunato. Ogni volta mi rimetto in gioco, mi metto in vetrina domandandomi chi sarà a darmi il primo schiaffo. In questo mestiere alcuni discografici ti vincolano, eppure io ho sempre fatto quello che volevo.
La scelta di una cover come “Amore disperato” rispecchia la tua voglia di rivalsa e di rivincita?
Carlo Conti mi ha chiesto di fare una canzone non lenta: grazie alle mie due anime, di cui una fa di me la reginetta della cassa in quattro, mi ha suggerito questo pezzo di Nada. All’inizio ho storto un pò il muso ma non perché non mi piacesse, si tratta di un pezzo dotato di un’identità punk, uno stile che non si avvicina molto al mio. Per come ragiono io realizzare una cover è come spogliare un pezzo e strappargli il cuore dandogli un altro flusso sanguigno. Alla fine il brano è diventato electro dance con un piglio nuovo dato dall’introduzione di una parentesi dubstep; qualcosa a cui non siamo abituati. Si tratta di un pezzo spensierato che ho interpretato come tale, al posto di un’esplosione c’è un risucchio, un effetto speciale che coglie l’ascoltatore di sorpresa.
Che rapporto hai con il pianoforte?
Il piano è il mio linguaggio di partenza, condiziona il mio modo di sentire. Suonare il piano in “Ora o mai più” mi permette di distaccarmi dalla latente ansia sanremese.
La terza serata del Festival di Sanremo è dedicata alle cover, ovvero il rifacimento di brani storici rivisti ed interpretati dai concorrenti della categoria “Campioni” della kermesse. Lo spirito con cui si intende effettuare questa operazione è quella di riportare alla luce piccole e grandi perle della canzone italiana seguendo un gusto ed una logica contemporanea nel rispetto dell’entità originale dei brani scelti. A giudicare da quanto visto e giudicato, direttamente dalla sala stampa del Roof del Teatro Ariston di Sanremo, è emersa una prima grande verità: la canzone napoletana detiene saldamente un ruolo primario nonostante lo scorrere del tempo ma procediamo con ordine.
La serata si apre con l’attesa sfida tra gli altri quattro degli otto giovani in gara: i primi ad affrontarsi sono Miele che ha proposto al pubblico la sua magica “Mentre ti parlo” con un’’esibizione elegante, intensa, struggente. La melodia catchy di Gabbani per “Amen” non regge il confronto ma, alla fine, il destino beffardo si frappone tra Miele e la finalissima: il meccanismo di votazione in sala stampa non funziona, viene chiesta la certificazione dei voti e si decide di ripetere l’operazione. Molti giornalisti rivotano secondo coscienza, altri, dispersi tra bagno e bar, non riescono a recuperare il voto ed il risultato viene clamorosamente ribaltato. Un sincero dispiacere per Miele, per l’ingiustizia che ha subito e per l’onesta convinzione che Manuela Paruzzo, il vero nome dell’artista, meritasse davvero di essere in finale. La seconda sfida è tra il tenore italo-australiano Michael Leonardi, in gara con “Rinascerai”, di cui apprezziamo meglio la versione in inglese, e Mahmood che, si aggiudica la manche con “Dimentica” caratterizzato da echi di groove provenienti dalle nuove metropoli mediterranee. Suggestiva la performance dell’attore Marc Hollogne che ci traghetta in un mondo onirico e ricco di immagini brillanti.
Subito dopo si inizia con le cover: il primo gruppo è capitanato da Noemi che, con un’energica interpretazione di “Dedicato” della Bertè, si aggiudica anche la vittoria della sessione. Convincono poco i Dear Jack con “Un bacio a mezzanotte” del Quartetto Cetra, ancora meno gli Zero Assoluto con “Goldrake”. Pulita ma poco incisiva la versione di “Amore senza fine” di Pino Daniele scelta da Giovanni Caccamo e Deborah Iurato. Il secondo gruppo viene introdotto da Patty Pravo che, insieme al rapper Fred De Palma, rivisita un suo stesso storico brano come “Tutt’al più”: leggenda vivente. Bernabei sceglie di farsi accompagnare dai giovanissimi Benji & Fede sulle note di “A mano a mano”, il risultato è godibile ma assolutamente niente di speciale. Sensuale, accattivante, travolgente la performance di Dolcenera, protagonista di una potente versione electro-dubstep di “Amore disperato” di Nada. Sinceramente emozionante la versione di “Don Raffaè” dell’indimenticabile De Andrè che Clementino canta con piglio ed incisività. La parentesi amarcord della serata è tutta dedicata alla storica reunion dei Pooh i quali, in occasione dei festeggiamenti per i 50 anni di carriera, ritrovano Riccardo Fogli e inaugurano un anno speciale, costellato di eventi che si sussegueranno fino al prossimo 31 dicembre: la testimonianza che si può essere davvero amici per sempre, soprattutto con più di 3000 concerti alle spalle. La gara delle cover ricomincia con Elio e Le Storie Tese e “Quinto ripensamento” (versione italiana di Fifth of Beethoven). Sempre più convincente Arisa che anche con “Cuore” di Rita Pavone, testimonia un ulteriore passaggio di qualità.
Annalisa
Autentico animale da palcoscenico Rocco Hunt che, con “Tu vuò fa l’Americano”, riesce a far scatenare il pubblico dell’Ariston nella sua interezza conquistando la vittoria della manche. Stilosa, originale e convincente anche Francesca Michielin, protagonista di una bella versione de “Il mio canto libero”. Ancora uno slot di cover mette in luce “O’ Sarracino” di Neffa feat. The Bluebeaters, sorprende l’intimismo essenziale di Scanu, che si aggiudica la vittoria della sessione in oggetto,sofisticato l’arrangiamento portato da Irene Fornaciari. Blasfema, ma forse anche per questo ancora più affascinante, la versione de “La lontananza” concepita dai Bluvertigo, di cui mettiamo in risalto l’’immaginifica bellezza del sax di Andy. L’ultimo gruppo vede susseguirsi sul palco Lorenzo Fragola, troppo impreciso sulle note de “La donna cannone”, una dimenticabile performance di Enrico Ruggeri che si cimenta nuovamente con il napoletano di “’A Canzuncella”. Diverso il discorso per Annalisa: luminosa, sensuale, oggettivamente godibile la sua “America”. Il plus ultra dell’arrangiamento in questione sono le chitarre impreziosite da un effluvio di conturbanti distorsioni. L’emozione più forte è regalata dagli Stadio che omaggiano l’immenso Lucio Dalla con “La sera dei miracoli” portando sul palco anche Nicky Portera e Fabio Liberatori. La loro vittoria della manche e della serata è meritata perché il loro tributo è stato il più sentito ed è riuscito a mettere d’accordo davvero tutti. Gran finale con un super ospite d’eccezione: stiamo parlando di Hozier. Il suo successo mondiale, intitolato “Take me to church”, ripristina con classe e raffinatezza il nostro barometro emotivo messo a dura prova da una lunga e tormentata serata intrisa di sentimenti ed emozioni contrastanti.
La freschezza di una ventenne, la saggezza di una persona curiosa e appassionata, la bravura di un artista che studia per acquisire conoscenze sempre più approfondite. Stiamo parlando di Francesca Michielin che con “di20are”, ritorna sul mercato discografico con i successi dell’album “di20″, uscito lo scorso 23 ottobre, includendo il brano “Nessun grado di separazione”, in gara alla 66ma edizione del Festival di Sanremo e scritta dalla cantautrice insieme a Cheope e a Federica Abbate.
Intervista
Francesca, prendendo spunto dal brano che porti al Festival di Sanremo, quali sono le sei persone che ti hanno permesso di diventare quella che sei oggi?
Sicuramente la mia casa discografica Sony, che mi ha supportato dall’ inizio, il mio management Martà Donà, con cui lavoro molto bene, poi c’è Elisa con cui ho realizzato il mio primo disco; la sua è stata una scuola d’arte, l’esperienza in studio con lei è stata fondamentale. Proseguendo cito Michele Canova: insieme abbiamo fatto una grande ricerca di suoni. A questo proposito mi sento di dire che l’artista deve concentrarsi sul proprio suono e creare un proprio stile riconoscibile. Sono molto legata anche a Giorgia, lo sono fin da quando io e lei lo potessimo sapere, sono nata il 25 febbraio del 1995 proprio mentre lei vinceva il Festival di Sanremo con “Come saprei”. A prescindere da questo l’ho sempre seguita, mi piace tantissimo! Ieri sera mi ha persino scritto un messaggio di sostegno dicendo che tifa per me. Uno spazio lo merita sicuramente la mia famiglia: senza la famiglia non si va da nessuna parte.
Nel 2012 hai duettato con Chiara Civello. Come sei cambiata rispetto a 4 anni fa?
Ieri sera sul palco dell’Ariston ho raccontato la mia crescita. Con la Civello fu solo un duetto, un gioco divertente; oggi mi sento più consapevole e questa cosa la canto anche nel mio brano. Esco dalle mie insicurezze.
Come concili la vita da cantante e da studente? Lo studio ha influenzato a livello contenutistico quello che fai oggi?
Sono una perfezionista. Quando ho fatto X Factor ero al terzo anno del liceo, ho studiato di notte, ho fatto parecchia fatica, è stata una battaglia ma sono felice di averla portata avanti. Ora studio composizione al Conservatorio e contestualmente studio alla Cà Foscari. Chiaramente non riuscirò a finire il corso di laurea in tempo ma sì, mi piace studiare e quello che studio ispira quello che scrivo. La cultura in generale aiuta a difendersi.
Che sensazione si prova a sfidare i tuoi giudici di X Factor?
Più che al centro di una sfida, mi sento onorata e divertita. Elio, Arisa, Morgan si comportano da zii, mi coccolano tanto e questa dimensione familiare mi piace molto.
Com’è il tuo rapporto con i fan attraverso i social?
Grazie ai social networks l’artista è sceso dal piedistallo. I miei fan sono coinvolti insieme a me in questo percorso, mi piace leggere i loro commenti, sapere cosa pensano, serve sempre un diretto contatto.
Raccontaci dell’esperienza live con “Nice to meet you”…
Questo tour è stata la mia palestra, attraverso gli strumenti che suono sono riuscita a creare una dimensione intima con il pubblico. Tutto questo mi ha aiutato a gestire lo stress, l’ansia, il fiato ed è stato molto gratificante.
Se non partecipassi in gara, guarderesti il Festival?
Il Festival è nel Dna italiano, gli vuoi bene a prescindere perché è dentro di te. Personalmente lo seguo da sempre, mi piace. Conti ha fatto una scelta bella, quest’anno c’è di tutto: ci sono io che a vent’anni “esco dalla scatola” e c’è Patty Pravo che festeggia 50 anni di carriera.
Come definiresti “di20are”?
Si tratta della sintesi e del racconto di un viaggio che si porta dietro un bagaglio di esperienze iniziato con l’ “Amore Esiste” e che si proietta con entusiasmo nel futuro.
Enzo Gragnaniello @ Teatro Augusteo ph Luigi Maffettone
Il Misteriosamente tour di Enzo Gragnanielloarriva al Teatro Augusteo di Napoli portando con sé un grande bagaglio di emozioni. L’artista ha portato in scena i brani tratti dal suo ultimo disco omonimo, uscito a quattro anni di distanza dal suo precedente lavoro, oltre ai suoi più importanti successi discografici. Sul palco del Teatro Augusteo, il cantautore napoletano ha concentrato l’essenza del suo concerto all’interno di una dimensione spirituale, concepita ed eseguita per entrare in contatto con il pubblico in maniera intima e viscerale. Racconti d’amore, ma anche di rabbia, le canzoni di Enzo Gragnaniello puntano dritto al cuore attraverso un ‘viaggio’ musicale intriso di suggestioni. Ospiti straordinari della serata sono stati Ornella Vanoni, Nino Buonocore e Raiz. Accompagnato da Piero Gallo al mandolino, Aniello Misto al basso, Marco Caligiuri alla batteria ed Erasmo Petringa al violoncello, Enzo Gragnaniello ha offerto al pubblico delle vere e proprie perle come “Guardo il mare”, “Cumann’o sole”, “L’erba cattiva”, “E continuo, “Cu’mme”, “Senza voce”, “’O mare e tu”, ma anche “Rose”, “Vieneme” e “E criature”. Tanto di cappello ad un artista unico che ha tenuto un concerto intenso, autentico e prezioso.
Photogallery a cura di: Luigi Maffettone
Enzo Gragnaniello @ Teatro Augusteo ph Luigi Maffettone
Enzo Gragnaniello @ Teatro Augusteo ph Luigi Maffettone
Enzo Gragnaniello @ Teatro Augusteo ph Luigi Maffettone
Enzo Gragnaniello @ Teatro Augusteo ph Luigi Maffettone
Enzo Gragnaniello @ Teatro Augusteo ph Luigi Maffettone
Enzo Gragnaniello @ Teatro Augusteo ph Luigi Maffettone
Enzo Gragnaniello @ Teatro Augusteo ph Luigi Maffettone
Enzo Gragnaniello @ Teatro Augusteo ph Luigi Maffettone
“La musica è una fortuna che condividiamo”. Con le parole del Maestro Ezio Bosso, atteso ospite al Festival di Sanremo, introduciamo il commento alla seconda serata della kermesse targata Rai Uno. La magia, la disarmante semplicità e l’enorme bravura del pianista e compositore, racchiudono l’essenza di un miracolo chiamato arte, un momento che, rivestendosi di autorevolezza, ha ammutolito la parola con l’intento di risvegliare i sensi e l’amore per il bello autentico. Ad inaugurare la serata, la doppia sfida tra i giovani: alla fresca disinvoltura pop di Chiara Dello Iacovo si è opposta la grinta sperimentale di Cecile mentre alla cascata di parole cantate da Irama abbiamo visto contrapporsi l’elegante piglio melodico di Ermal Meta. Il risultato ha premiato “Introverso” di Chiara e “”Odio le favole” di Ermal, già noto songwriter nostrano. Irriverente la performance delle musiciste classiche Salut Salon che, attraverso un vincente mix di talento, ironia e fascino, hanno divertito il pubblico con “Quattro stagioni” di Vivaldi e “Les Deux Guitares”. La prima ad esibirsi tra i big in gara è Dolcenera: la cantautrice salentina tira fuori dal cassetto “Ora o mai più” (Le cose cambiano) e sceglie di cantarlo al pianoforte per una performance sofisticata e di grande spessore artistico. Grande attesa per il ritorno celebrativo dell’iconica Patty Pravo sul palco di Sanremo: al suo nono Festival, l’artista interpreta “Cieli Immensi” di Fortunato Zampaglione, la standing ovation per lei è quantomeno doverosa. Folkloristica e verace la performance di Clementino che porta sul palco un brano dedicato a chi è lontano da casa, intitolato, per l’appunto “Quando sono lontano”.
Eros Ramazzotti
Il momento amarcord sopraggiunge con il bellissimo medley di Eros Ramazzotti: “Terra promessa”, “Adesso tu”, “Più bella cosa non c’è” e la più recente “Rosa nata ieri” sono i brani che ci siamo ritrovati a cantare a squarciagola in virtù della loro radicata appartenenza al nostro knowhow culturale. Si ritorna alla gara con “Finalmente piove”, la ballad scritta da Fabrizio Moro che Valerio Scanu porta all’Ariston vestendola con il proprio stile; da riascoltare per capirne il potenziale. Convincente “Nessun grado di separazione”, il brano che riporta la freschezza di Francesca Michielin all’attenzione nazional popolare. Alessio Bernabei inaugura il suo percorso da solista con “Noi siamo infinito”, un brano caratterizzato da un arrangiamento intriso di riferimenti dance ed EDM. Esilarante l’ennesimo colpo di genio di Elio e le Storie Tese: “Vincere l’odio” è una canzone fatta di canzoni, un’installazione artistica, una scultura di parole concepita oltre il tempo e lo spazio contingente per imparare a prenderci meno sul serio.
Ellie Goulding
A seguire la raffinata e stilosa Ellie Goulding, super ospite della serata in oggetto, ha scelto di esibirsi sulle note della super hit “Love me like you do” ed il nuovo singolo “Army”, entrambi tratti dall’album “Delirium”. La competizione sanremese rientra nel vivo con “Sogni e nostalgia”, il brano agrodolce, profumato di ottimismo, con cui Neffa si appresta a conquistare le radio e le docce italiane. Sobria, semplice e d’effetto la chiacchierata attraverso cui Carlo Conti ci ha presentato la celeberrima e meravigliosa Nicole Kidman.
Nicole Kidman
Uno degli ultimi campioni ad esibirsi è Annalisa e, a giudicare da quanto visto e ascoltato, abbiamo motivo di credere che nessuno più di lei meriti di vincere questo Festival. La sua canzone “Il diluvio universale” è frutto di lunghe sessioni in studio e la bellissima ed elegantissima cantautrice riesce ad interpretarla con enfasi, fascino e credibilità. L’electro pop degli Zero Assoluto è tutto da ballare, il testo dice sinceramente poco ma il prodotto è di sicuro fascino radiofonico. La menzione di merito spetta a Virginia Raffaele che riesce a divertire il pubblico anche nei panni della leggendaria ballerina classica Carla Fracci. A chiudere la lunga serata è Nino Frassica che sceglie di portare sul palco di Sanremo “A mare, si gioca”, un racconto intenso e suggestivo concepito per riportare l’attenzione su un tema di assoluta importanza su cui è sempre necessario tornare quale è il dramma dei migranti.
Max Gazzè live @ Alcatraz – Milano (scatto pubblicato sulla pagina Fb dell’artista)
Per la prima delle due date all’Alcatraz di Milano (9 e 10 febbraio), sold-out da settimane, Max Gazzè sale sul palco alle 22.00 e l’impressione è subito quella che questo Maximilian tour sia una produzione importante e studiata fin nei minimi dettagli. Con la spettacolare scenografia curata daCamilla Ferrari, i visuals scelti dallo stesso Max insieme a Nicola Saponaro e i contenuti video interattivi, il bassista e cantautore romano traghetta il pubblico in una dimensione distesa, divertente, a tratti onirica ed intrisa di numerosi rimandi musicali. Accompagnato dal monumentaleGiorgio Baldialle chitarre, Clemente Ferrarialle tastiere,Cristiano Micalizzialla batteria, eMax ‘Dedo’ De Domenicoagli strumenti a fiato, Gazzè mette a punto una scaletta variegata ma coerente rispettando l’intento di dare risalto a due album che rappresentano il perno principale della sua discografia: l’ultimo nato “Maximilian” ed il disco d’esordio “Contro un’onda del mare”, che quest’anno celebra i vent’anni dalla pubblicazione. Proprio nel gennaio 1996 Max si affacciava sulla nuova scena musicale italiana mettendosi in luce con le sue canzoni incentrate su tematiche lontane dai soliti clichè; per questa ragione, all’album di debutto è dedicato, infatti, uno speciale tributo audio e video all’interno della scaletta del concerto.
Max Gazzè live @ Alcatraz – Milano (scatto pubblicato sulla pagina Fb dell’artista)
Il concerto parte con l’ultimo singolo “Mille volte ancora”, cantato da Max senza suonare l’inseparabile basso, si continua con “I tuoi maledettissimi impegni”,“Il timido ubriaco”ed”Il solito sesso”. Tanta elettronica ma anche rimandi prog-rock ed electro-pop tra canzoni che parlano di rapporti interpersonali esaltandone le bellezze ma anche le criticità. Lo spettacolo prosegue sulle note di “Ti sembra normale”, “Disordine d’aprile”, la suggestiva ballata “Sul fiume”, impreziosita da un fascino di natura filmica. Ganciusta anche la scelta di cantare “ Sul ciliegio esterno”, “Raduni ovali”, “L’uomo più furbo”. Pubblico in visibilio per la super hit patchankera “La vita com’è”. Spazio anche per la sempreverde “Cara Valentina”, per il meraviglioso momento amarcord dedicato al tour con Silvestri e Fabi con “L’amore non esiste”. Intima e pittoresca l’”Edera” in versione minimal, dolce e romantica “Mentre Dormi”. Brillante ed irriverente il video scelto per introdurre il revival del 1996 con la riproposizione di quattro pezzi dall’album d’esordio “Contro un’onda del mare”. Per il gran finale Max Gazzè sceglie “Sotto casa” e una “Una musica può fare” chiudendo due ore di musica all’insegna del gusto per la parola, la passione per il groove ed un’intramontabile verve ironicamente sorniona.
Raffaella Sbrescia
LE TAPPE DEL MAXIMILIAN TOUR
Milano (Alcatraz, 9 e 10 Febbraio)
Venaria Reale – TO (La Concordia, 11 e 12 Febbraio)
Roma (Atlantico Live, 19 e 20 Febbraio)
Firenze (Obihall, 25 e 26 Febbraio)
Brescia (Pala Banco, 5 Marzo)
Riva del Garda, TN (Pala Meeting, 12 Marzo)
Cerea, VR (Area Exp Cerea, 19 Marzo)
Padova (Palageox, 25 Marzo)
Foligno PG (Pala Paternesi, 1 Aprile)
Rimini (Velvet Club, 2 Aprile)
Reggio Emilia (Palazzo dello Sport Bigi, 8 Aprile).
Evento di indiscusso interesse, e di meritato successo, quello andato in “scena” sul palco del Quirinetta il 4 febbraio scorso, con l’esibizione degli ORk, che hanno messo in programma ben 10 date italiane per presentare il loro cd, “Inflamed Rides”.
Album di debutto di questa incredibile formazione, in live non delude le aspettative del numeroso pubblico che ha affollato la sala dell’ex Cinema, quest’anno location di eventi di notevole spessore musicale.
Il progetto vede riuniti quattro talenti fenomenali: Pat Mastelotto, ex componente dei King Crimson, alla batteria, Carmelo Pipitone, dei Marta sui Tubi alla chitarra, e Colin Edwin dei Porcupine Tree al basso. Il tutto ad accompagnare la voce di Lorenzo Esposito Fornasari (aka LEF), cantante e compositore bolognese, che, nonostante la giovane età, vanta collaborazioni di rilievo tanto in ambito nazionale, quanto internazionale.
ORk @ Teatro Quirinetta ph Roberta Gioberti
“Giostre infiammate”, a fondere psichedelia acustica, elettronica raffinata e ipnosi sonora in maniera energetica ed imponente. Un ascolto accattivante, avvolgente, addirittura seducente in alcuni momenti che hanno visto protagonisti Pipitone e Edwin in un botta e risposta tra basso e chitarra che ha toccato livelli di vera e propria poesia vibrante.
Un bel sostegno sicuramente alla voce di LEF, una voce capace di supportare sonorità che vanno dal quasi impercettibile sussurro, all’esplosione vocale fragorosa.
Quattro artisti diversi per storia, collocazione, origine, età, in perfetta sintonia tra di loro, a regalare a giovani e meno giovani una materia nuova, che amalgama gli ingredienti e tira fuori qualcosa di veramente diverso. Diverso e piacevole, essenziale, seppur variegato, e potente. Un riuscito incontro generazionale.
Articolo e photogallery a cura di: Roberta Gioberti
Quattro album all’attivo ed una travolgente formula live hanno traghettato i Twenty One Pilots direttamente in cima alle classifiche mondiali. Sul palco dell’Alcatraz di Milano per l’unica data italiana del loro nuovo tour, Tyler Joseph (cantante, tastierista e chitarrista) e Josh Dun (batterista) hanno portato una ventata di energia e creatività grazie ad un irresistibile mix di musica indie pop, elettronica e rap. Il nome Twenty One Pilots è il frutto di una scelta filosofica e viene da un’opera teatrale di Arthur Miller, intitolata “All My Sons”. La storia racconta di un appaltatore bellico che invia consapevolmente parti di aeroplani difettate in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale, con il timore che, qualora dovesse ammettere l’errore, ci rimetterebbe economicamente; la decisione porta alla morte di 21 piloti. La storia penetra a fondo nella mente di Joseph, tanto da risultare decisiva per la scelta del nome della band.
Twenty One Pilots (foto di repertorio)
Dopo aver pubblicato due album in maniera indipendente (“Twenty One Pilots” nel 2009 e “Regional at Best” nel 2011), il duo ha firmato con l’etichetta Fueled by pubblicando “Vessel” nel 2013 ed il nuovo “Blurryface”, un album innovativo e vibrante, concepito durante il precedente live tour, in cui ciascun brano è caratterizzato una forte spinta propulsiva infusa dall’imperiosa batteria di Josh. Determinati nel voler creare un tipo di musica aperta alle interpretazioni, sia per quanto concerne le tematiche che i suoni, i Twenty One Pilots curano molto anche le loro performances dal vivo. Colpisce la furia ed il dispendioso impegno fisico di Joseph, autentico animale da palcoscenico che si arrampica sulle impalcature e si tuffa sulla folla, incanta e delizia la potenza e la padronanza dello strumento da parte di Dun. Un tripudio di rime sofferte, a tratti enigmatiche, in grado di costruire una speciale rete di connessione emotiva con i nostri giovanissimi in cerca di punti di riferimento.
“Lunga attesa” è il titolo del nuovo lavoro discografico dei Marlene Kuntz, il decimo di una band che, dopo 25 anni vissuti spendendosi sui palchi di tutta Italia, torna dimostrando di avere ancora parecchio da darci e da dirci. All’indomani dei grandi festeggiamenti in occasione del ventennale dall’uscita di “Catartica”,Cristiano Godano e compagni sfornano 12 inediti intrisi di verità concettuali assolute ed impreziositi da suoni cesellati da chitarre imperiose, potenti, energiche, assetate di occhi e orecchie. Anticipato da “Fecondità”, l’album da ascoltare necessariamente nella sua interezza, è caratterizzato da un’ attitudine autenticamente rock eppure non mancano sorprese di natura intima e commovente. All’interno di una realtà che ci disintegra, impressionano frasi come “fammi ascoltare il tuo silenzio”. Senza un equilibrio e tra oceani di stupidità, il rigoglio strumentale e semantico dei Marlene Kuntz si snoda lungo riverberi, distorsioni ed intuizioni in grado di smuoverci e di risvegliarci da un catatonico stato di rassegnata contemplazione ricettiva.
Intervista a Cristiano Godano
“La realtà ci disintegra, nulla c’è che ci reintegra”?
“Narrazione” è frutto di un’intuizione che non ho ancora messo a fuoco del tutto. Nel mito e, più in generale, in tutto ciò che le favole tramandano, risiede qualcosa di emotivamente più importante e in grado di segnarci nel profondo. Per contrasto, quindi, se da una parte c’è la narrazione, dall’altra c’è tutto ciò che ci viene trasmesso dalla realtà che ci circonda. Mi è venuto facile pensare alla realtà che ci disintegra e che ci rende persone impermeabili all’emotività e alle problematiche contingenti.
In “Lunga attesa” ci sono degli interrogativi che non lasciano spazio all’evasione…
Nel renderci conto di quanto siamo piccoli di fronte all’universo diventa tutto un po’ vertiginoso. Certi grandi interrogativi sono stati al centro delle riflessioni di filosofi, poeti, romanzieri, fisici, astronomi. Non si tratta di stare con le spalle al muro ma di acquisire una certa consapevolezza ci dà la possibilità di discernere con più lucidità e di mantenere le distanze dalla dilagante moda del creazionismo.
Marlene Kuntz ph Andrea Simeone
I suoni che proponete in quest’album picchiano duro, una pressione sonora in controtendenza rispetto a quello che ci viene proposto da più fronti. Come mai questa scelta , cosa vi ha dato l’entusiasmo per darci dentro senza mezza misure?
In fondo neanche noi lo avremmo pensato , abbiamo fatto un tour dedicato a “Catartica”, il nostro primo disco e, per poterlo celebrare al meglio, abbiamo fatto molte prove e abbiamo suonato diversi brani che non toccavamo da diversi anni. Quando siamo entrati in sala prove avevamo il sospetto che la pressione sonora ci avrebbe disturbato l’orecchio. Contrariamente alle aspettative, la cosa non è andata in questi termini, ci siamo divertiti a tirare su i pezzi di “Catartica” per cui, quando ci siamo trovati a lavorare ai pezzi nuovi, non abbiamo avuto paura di fronteggiare questa pressione che ci ha permesso di scoprire diverse possibilità di creatività e divertimento; è stato tutto molto più spontaneo di quanto noi stessi avremmo potuto immaginare.
Da cosa nasce la costruzione dei vostri suoni?
Il nostro suono è figlio di 30 anni di esperienza e più di 1700 concerti. Alla base c’è tutto il nostro knowhow, un marchio di fabbrica che contraddistingue tanto i Marlene Kuntz quanto tutte le band che hanno un suono riconoscibile.
“Un attimo divino” si discosta dalle altre canzoni contenute nel disco : le Lacrime vengono asciugate da un uomo tanto arrabbiato quanto capace di donarsi senza riserve…
Fin da quando esistiamo, il nostro linguaggio si è sempre mosso lunga una doppia direzione: da una parte c’è l’impeto, che coincide con la parola Kuntz, dall’altro c’è la piega romantica e sentimentale, che coincide con la parola Marlene. Anche qui ci sono due o tre brani più vicini alla nostra parte morbida e che fanno parte del nostro patrimonio genetico.
Con quali prospettive vi approccerete alle date europee che a fine febbraio anticiperanno il “LUNGA ATTESA TOUR 2016”?
Partiremo e ci caricheremo in luoghi dove non siamo abituati a suonare, luoghi in cui la gente non ha ancora avuto modo di vederci. Siamo sicuri al 100% che saranno le comunità italiane a venire a vederci ma si tratta comunque di persone che non siamo abituati ad avere sottopalco. Queste date serviranno a scaldarci ma ovviamente la cosa non implica che ci sarà minor tiro e che non avremo i pezzi in mano come quando saremo in Italia.
Il 17 febbraio arriverà nei cinema di tutta Italia ”Marlene Kuntz. Complimenti per la festa”, il film diretto da Sebastiano Luca Insinga, che celebra i Marlene Kuntz, a vent’anni dal loro album di debutto “Catartica”. Anche se non siete intervenuti nella scelta dei materiali, cosa avete provato rivedendovi?
“Complimenti per la festa” mostra i Marlene Kuntz sotto una veste molto intima.
I ragazzi che hanno lavorato al film hanno chiesto materiali a persone a noi vicine, ovvero coloro che ci sopportavano agli inizi. Si tratta di un racconto dal risultato curioso, ci siamo fatti prendere per mano dal filo della narrazione e pensiamo che lo stesso accadrà al pubblico.
Nei giorni 5 e 6 gennaio la sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica ha accolto la rassegna I World Music, organizzata da I-Company, coprodruttrice insieme a Musica per Roma di una due giorni all’insegna della musica etnica e popolare, con contenuti di autore e ricerca di qualità. Sei i gruppi che si sono avvicendati sul palco della Sala dell’Auditorium di Roma, proponendo il loro repertorio : Il promettente astro nascente Giuliano Gabriele, vincitore del premio Parodi 2015, Il Canzoniere Grecanico Salentino, I Tarantolati di Tricarico, L’Orchestra di Piazza Vittorio, Mimmo Cavallaro e l’elegante e grintosa interprete Marina Moulopulos.
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