Intervista a Virginio. In “Hercules” la nuova identità musicale del cantautore

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Virginio Simonelli torna sulla scena musicale italiana e lo fa in grande stile. Il brano con cui il giovane cantautore sceglie di iniziare questo nuovo capitolo della sua carriera è “Hercules”, una canzone interamente realizzata negli USA. Prodotto da Corrado Rustici e scritto con la collaborazione di Andy Marvel (già autore per Jason Derulo, tra gli altri) e Dimitri Ehlrich (che vanta collaborazioni artistiche anche con Moby), il brano risente delle atmosfere tipiche della musica americana e testimonia in maniera tangibile la nuova veste artistica di Virginio.

L’intervista

Virginio, raccontaci come hai lavorato alla realizzazione di questo brano completamente avulso dal sound italiano.

Ad un certo punto della mia vita ho fatto i bagagli e sono andato a New York e sono andato a scrivere con degli autori americani, grazie a delle persone che mi hanno messo in contatto con loro. “Hercules”, in particolare,  è stato scritto con Marvel e Ehrich  e ci siamo trovati così bene, da decidere di scrivere più canzoni insieme. Nel frattempo avevo cominciato a lavorare ad alcune cose con Corrado Rustici, a cui avevo mandato delle mie cose all’inizio del 2015, ci siamo sentiti, ci siamo visti e ci siamo piaciuti. In un secondo momento sono andato a San Francisco da lui e abbiamo cominciato a lavorare a questo progetto. Sono pronti anche altri brani, sia in italiano che in inglese. Mi è venuto spontaneo usare entrambe le lingue perché scrivo usando sia l’una che l’altra.

Entrando nello specifico di questo singolo, la metafora è quella di Ercole che detiene le redini di un rapporto importante.

In un certo senso sì. Il testo della canzone dice: “Buttami nella tana del leone perché io combatterò comunque fino alla fine per arrivare a te”. Quando parla di Ercole dice: “Neanche se fossi Ercole potrei amarti più di quanto io faccia già. Io non sto in disparte, non fuggo, anzi, ho deciso che ti vengo a prendere”. Si tratta di una dichiarazione d’amore ma non è necessariamente amore per una persona, può essere anche amore per la musica, ad esempio.

Come e quanto sei cambiato con l’inizio di questo nuovo capitolo della tua carriera?

Sono sempre più bravi a dirlo gli altri certe volte. Non so dire se mi sento diverso, sicuramente mi sento più consapevole. Ad esempio, dato che sono un maniaco del controllo di me stesso, apparentemente sembro sempre pacato e tendo a gestire le emozioni che mi porto dentro. Di recente, però,  ho imparato anche a lasciarmi andare. Questo è il cambiamento più forte che ho riscontrato in me.

Quanto e come sono cambiati i tuoi ascolti?

Ho cominciato ad ascoltare  tantissimo soul e parecchia musica elettronica; generi che in precedenza ascoltavo poco perché avevo delle remore, oggi ampiamente superate. Tra tutti nomino i Disclosure e l’ultimo album “Caracal”.

Virginio ph Cristian Dossena

Virginio ph Cristian Dossena

Dal punto vista artistico, come ti pone questo brano di fronte al pubblico e agli addetti ai lavori?

Questo lo vedremo. Ho seguito la mia strada, ho fatto quello che mi sentivo e, quando ho cominciato a lavorare con Corrado a questo progetto, ci siamo proprio detti che dovevamo cercare la mia essenza musicale e così è stato. Mi rendo conto che è rischioso ma è altrettanto vero che ognuno di noi dovrebbe preservare la propria unicità.

Come pensi di lanciare questo nuovo progetto? Ci saranno tanti piccoli singoli con un riscontro graduale o pubblicherai un full lenght?

Non so. Abbiamo già tutti gli altri singoli ma ci sto ragionando. Non è detto che debba esserci necessariamente un album perchè oggi  i canali di fruizione sono cambiati. Pensare soltanto ad un cd forse sarebbe riduttivo, magari alla fine ci sarà comunque. Vedremo cosa salterà fuori…

Virginio_foto di Cristian Dossena

Virginio_foto di Cristian Dossena

Quali sono le tematiche che in questo momento ti stanno più a cuore?

Credo di avere un tema ricorrente nelle mie canzoni: sentirsi se stessi. A questo proposito citerei “Le cose cambiano”, un progetto nato in America denominato “It gets better” che si occupa principalmente di bullismo. La caratteristica principale di questo gruppo sta nel caricare dei video on line  con le testimonianze di persone che raccontano come sono cambiate poi le proprie esistenze.  Il successo massimo è stato raggiunto quando anche Obama ha caricato un video in cui raccontava la propria esperienza in qualità di candidato alla Presidenza degli Stati Uniti e persona di colore. Queste sono cose che mi stanno molto a cuore, c’è una canzone in particolare, presente nel mio nuovo progetto, che secondo me richiama intensamente questo discorso. Il 17 ottobre, inoltre, mi ritroverò a Fondi, la mia città, con un gruppo di persone che seguono la mia musica e faremo un raduno tutti insieme. Ci sarà anche una persona che parlerà delle attività de “Le cose cambiano” e credo sia molto importante che questo avvenga soprattutto in posti che fanno un pò più di fatica ad uscire da un certo tipo di mentalità.

Raffaella Sbrescia

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Video: Hercules

“C’è da morire dal vivere”: Martino Corti presenta il terzo capitolo dei monologhi pop. L’intervista

Martino Corti

Martino Corti

Attore, cantautore, intrattenitore, osservatore sociale. Martino Corti è un artista figlio del nostro tempo, capace di instaurare un rapporto rivelatore con lo spettatore. Con il nuovo spettacolo, in scena fino all’11 ottobre 2015, intitolato “C’è da morire dal vivere”, terzo capitolo della saga dei Monologhi Pop, che racconta con ironia il viaggio alla ricerca della serenità, Corti apre la nuova stagione teatrale dello Spazio Tertulliano di Milano fra canzoni e monologhi. L’intento dell’artista è quello di mostrarci aspetti di noi stessi e della vita quotidiana che, se in primo momento possono sembrarci irrilevanti, in realtà condizionano il corso della nostra esistenza in maniera sostanziale. I Monologhi Pop di Martino Corti sono, quindi, mutui scambi di materiale emotivo da condividere. Suddiviso per capitoli, “C’è da morire dal vivere” trova nelle canzoni tratte dai primi due dischi-spettacolo di Monologhi pop un ulteriore completezza, sia per la qualità dei testi che per le tematiche affrontate. Con questo format innovativo, leggero ma mai banale, Martino Corti rappresenta, infine, la tangibile testimonianza che si può ancora parlare del genere umano senza essere scontati.

L’intervista

In “C’è da morire dal vivere” hai il sorriso sulle labbra ma tocchi tematiche che vanno oltre la superficie.
Questo è esattamente l’intento dello spettacolo. Il filo conduttore è l’ironia attraverso la quale cerco di far passare dei messaggi un po’ più profondi. La bellezza dei Monologhi Pop sta nel fatto che ognuno può viverli a vari livelli: c’è lo spettatore che ride e basta, quello che ha voglia di pensare e di mettersi in gioco e poi ci sono coloro che a fine spettacolo vengono a ringraziarti con gli occhi lucidi.

“Un irrequieto non potrà mai essere sereno”?
Sì, la penso così. Certo, ci sono un po’ di trucchetti per essere un po’ meno irrequieti e sono proprio quelli che  provo ad utilizzare io stesso ogni giorno nel mio privato.

La tua è una sensibilità da osservatore sociale ?
In effetti la frase che di solito utilizzo per far capire cosa sono i Monologhi Pop è quella di Charles Bukowski che dice: “La gente è il più grande spettacolo del mondo e non si paga il biglietto”.

Martino Corti

Martino Corti

Attraverso l’arte del sapersi lamentare, trovi comunque un lato positivo nelle cose…
Cerco di individuare e di alimentare la positività anche se vado anche se sono io stesso un habitueè del “Mondo di merda hour”, così come fan tutti. Il concetto è cinicamente amaro ma assolutamente veritiero.

Che evoluzione c’è stata tra i tuoi primi due spettacoli e quello in corso?
Ne “Le cose non contano nulla” non c’era l’elettronica, abbiamo registrato tutto in studio e poi abbiamo fatto un tour io e Luca Nobis con due chitarre. La grande novità di “C’era una svolta” è stata l’entrata dell’elettronica con il dj producer Kustrell. Per “C’è da morire dal vivere” l’idea iniziale era quella di unire i due spettacoli precedenti con gli sketch più popolari poi, quando mi sono messo a scrivere, è venuta fuori una storia completamente nuova per cui lo spettacolo è nuovo con dei riferimenti ai lavori precedenti. Le canzoni invece sono 4 del primo disco e 5 del secondo.

La telepromozione del disco è un’idea a dir poco brillante.
Si tratta dell’evoluzione dell’iniziativa che ho denominato “disco versatile”. Io e Camilla (Salerno ndr) abbiamo mille idee alternative e qualcuna, di tanto in tanto, la mettiamo in pratica.

“True as we were born” è il brano più intimo dello spettacolo.
Il video che passiamo sullo schermo è quello ufficiale della canzone. In ogni disco mettiamo un pezzo in inglese così tra 10 anni avremo anche un album internazionale (ride ndr). Quella dell’inglese è un po’ un’arma a doppio taglio perché tendenzialmente cerco di scrivere in italiano anche se sono consapevole del fatto che l’inglese suona decisamente meglio.

Martino Corti

Martino Corti

Quale dei capitoli che proponi in questo spettacolo senti più tuo?
Li reputo tutti importanti perché sono il frutto di una selezione accurata, forse quello che sento di più è il capitolo dedicato all’interazione tra adulti e bambini perché sono diventato papà da sei mesi. Provo ad immaginare come potrebbe essere entrare nel mondo dei bambini e viceversa.

Hai fatto tuo il motto jovanottiano “Viva tutto”. Perché?
Quando ho letto il libro di Jovanotti e Franco Bolelli ho cambiato il mio approccio alla quotidianità. In queste due parole è racchiuso tutto il mio messaggio artistico, un mantra che mi piace e che ho fatto mio in maniera totalizzante.

Bella la storia della squadra dei Vigili del Fuoco di La Spezia…
Sì, una storia veramente speciale di cui raccontiamo i dettagli nel video ufficiale, che mostriamo durante lo spettacolo, con tutte le persone coinvolte nella vicenda. Si tratta di una storia vera, che ha avuto un riconoscimento ufficiale solo nel 2002 e ho voluto raccontarla perché, quando l’ho scoperta, mi sembrava assurdo che non la conoscesse nessuno. Una storia di calcio, di vita e di amore con dei valori che oggi è sempre più difficile ritrovare. Tutti i protagonisti sono morti, molti senza nemmeno aver visto il riconoscimento ufficiale. Nel testo della canzone immagino un nonno che racconta questa impresa ai propri nipoti.

“Ogni passo che va verso il controllo, è un passo in direzione opposta alla serenità”?
Anche questa considerazione è molto teorica. Nel mio quotidiano cerco di avere tutto sotto controllo ma ho constatato che più lasci campo libero al corso naturale delle cose, più ti avvicini alla serenità.

“Siamo tutti gocce che scavano la roccia, consapevoli di essere una parte di pioggia”?
Questa è una delle mie canzoni più importanti perché contiene  una serie di input che potrebbero contribuire al benessere generale.

Rifuggi l’etichetta classica di di teatro-canzone?
Abbiamo cercato un nome che potesse racchiudere il mio mondo artistico, che fosse attuale e soprattutto rispettoso dell’intoccabile teatro-canzone. E poi, diciamoci la verità, se lo avessimo definito teatro-canzone i Gaber-integralisti ci avrebbero odiato e additato come pazzi, i ragazzi liquidato pensando “che palle il teatro” e gli addetti ai lavori scritto “Ecco, un altro che porta in giro Gaber”.

Dopo tutti questi piccoli grandi passi artistici, che aspettative hai e che consapevolezze hai acquisito?
La consapevolezza più grande è che fin quando avrò energia da condividere con il pubblico, ogni giorno rappresenterà la tappa di un percorso splendido. Questo è il motivo per cui io e Camilla siamo ripartiti con “Cimice”, l’etichetta fondata da lei e di cui io sono diventato socio tre anni fa quando sono nati i Monologhi Pop. Questo viaggio va avanti un passo alla volta e l’arma più grande che abbiamo è il passaparola. Rimango un po’ perplesso quando vedo che abbiamo uno spettacolo in programmazione per 10 giorni ma le persone si svegliano solo alla fine senza riuscire a trovare posto, così come è avvenuto lo scorso anno. Mi dispiace perché mi sembra un’occasione persa per tanti. In un contesto che offre poco spazio per emergere, tenderemo sempre più verso strade alternative. Probabilmente dopo questi 10 giorni al Teatro Tertulliano di Milano ci butteremo a capofitto in un percorso alternativo, che è, tra l’altro, quello che ci dà più energia e che piace di più alle persone.

Martino Corti

Martino Corti

Con Luca Nobis sul palco c’è un ottimo affiatamento…
Luca è un chitarrista eccezionale, viene dal conservatorio ma sa suonare tutto con ottima tecnica. A questo aggiungo che è una bella persona, è al mio fianco dal 2010, fin dall’uscita di “Stare qui” quando accompagnai i Nomadi in tour con 80 date. Luca c’era già all’epoca e oggi è una colonna portante di questo progetto.

Con “Cimice Records” avete altri progetti in programma?
Stiamo sondando in primo luogo l’andamento dei Monologhi Pop e, qualora dovesse andare bene, a quel punto potremmo pensare di aprirci ad altri artisti con l’intento di creare una sorta di etichetta creativa.

Raffaella Sbrescia

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02.49472369 – 320.6874363
biglietteria@spaziotertulliano.it (ritiro a partire da 1 ora prima dello spettacolo)
Dal lunedì al venerdì: 10.00 -13.00 / 14.00 -19.00
Sabato: 16.00 -19.00
Domenica: 11.00 – 16.00

Caracal: il clubbing pop dei Disclosure è vincente

Disclosure - Caracal

Anticipato prima da “Holding On” feat. Gregory Porter, poi da “Omen”, l’attuale singolo cantato da Sam Smith, il secondo album dei Disclosure “Caracal” rallenta decisamente i ritmi del lavoro precedente a favore di un suono più raffinato e dai tempi rilassati, una miscela musicale che, in ogni caso, si presta meglio all’ascolto che al ballo. A proposito del titolo dell’album, Howard Lawrence spiega: “Il Caracal è un incredibile gatto selvatico di cui sono rimasto estremamente affascinato durante lo scorso tour; adoro il suo aspetto, le sue capacità fisiche e il suo essere anonimo. Mi è parso calzasse a pennello anche per il nostro marchio Wild Life, così il Caracal ha perfettamente senso come immagine principale per il nuovo album. Nel corso della registrazione, poi, ci è sembrato naturale intitolare così anche il disco”. L’album contiene 15 tracce costellate di featuring stellari, apre le danze il geniale The Weeknd con “Nocturnal”chiarendo subito che si tratterà di un ascolto sensuale, sornione e avvolgente. Il sodalizio con Sam Smith si conferma vincente, tra i migliori dello scenario pop.  La traccia più bella in assoluto è “Holding On: Gregory Porter  intaglia la punta di diamante dell’ album mettendo in secondo piano una buona performance di Lorde in “Magnets”. Tra gli altri brani in tracklist segnaliamo la freschezza  e l’energia di “Bang That. Cercando di mostrare al mondo un nuovo modo di comporre, più vicino al cantautorato, i Disclosure lasciano da parte i brani strumentali , rallentano i ritmi incendiari dell’esordio lasciando comunque intravvedere un’ ammaliante richiamo al clubbing più modaiolo. Riconoscendo ai due fratelli il merito e la non scontata capacità di aver creato un proprio sound, “Caracal” può tranquillamente essere considerato come  un lavoro completo, curato, ottimamente prodotto e soprattutto omogeneo. Sarà interessante scoprire come i Disclosure porteranno tutto questo materiale dal vivo. Questo autunno i due si lanceranno, infatti, in un tour americano in grande stile.

Raffaella Sbrescia

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 Tracklist

  1. Nocturnal (ft The Weeknd)
  2. Omen (ft Sam Smith)
  3. Holding On (ft Gregory Porter)
  4. Hourglass (ft Lion Babe)
  5. Willing & Able (ft Kwabs)
  6. Disclosure – Magnets (ft Lorde)
  7. Jaded
  8. Good Intentions (ft Miguel)
  9. Superego (ft Nao)
  10. Echoes
  11. Masterpiece (ft Jordan Rakei)
  12. Molecule
  13. Moving Mountains (ft Brendan Reilly)
  14. BangThat
  15. Afterthought

Video: Omen

Soundtracks live: le opere d’arte sonore di Apparat al Fabrique di Milano. Il report

Apparat live ph Luigi Maffettone

Apparat live ph Luigi Maffettone

Un’esperienza totalizzante, che raccoglie i pensieri,  i sensi, i muscoli. Tutto questo è un live di Sascha Ring, aka Apparat, il dj e compositore tedesco noto per le sue creazioni sonore fuori dagli schemi. La consacrazione definitiva, sancita  dagli eccellenti riscontri ottenuti dalle musiche originali per “Il giovane favoloso”, il film del regista napoletano Mario Martone sulla vita di Giacomo Leopardi, candidato a ben 14 David di Donatello, lo ha riportato in Italia con “Soundtracks live”. Un concerto che ha toccato diverse città italiane e che lo scorso 3 ottobre è arrivato anche al Fabrique di Milano. Bar chiusi e telefonini rigorosamente spenti per una performance autorevole, seria, che non ammette distrazioni. Ogni minimo dettaglio è necessario e sufficiente affinchè lo spettatore non perda nemmeno una nota dii flussi sonori costruiti con cura artigianale e dal fascino ancestrale. Affiancato dalle creazioni visive dei Transforma Visuals, il gruppo di artisti che ormai da tempo firma le creazioni visive pensate per  entrare nel fulcro embrionale degli ambienti sonori di Apparat, l’artista tedesco fonde abilità e ingegno, progresso e tecnologia ma anche visione creativa e suggestione estemporanea.

Apparat live ph Luigi Maffettone

Apparat live ph Luigi Maffettone

Il merito più importante di Apparat e degli eccezionali musicisti che lo accompagnano sul palco è quello di riuscire a far confluire tutti questi elementi all’interno di creazioni sonore, vere e proprie opere d’arte, in grado di offrire un’ininterrotta serie di emozioni ed interpretazioni. Echi, richiami, prismi di colori, arcobaleni di suoni sono costruiti, cercati e condivisi con l’intento, assolutamente riuscito, di creare un incantesimo sonoro di una bellezza tanto intensa quanto indescrivibile.

Apparat live ph Luigi Maffettone

Apparat live ph Luigi Maffettone

Apparat coniuga tradizione e sperimentazione attraverso imprevedibili innesti di suoni e di note. Un viaggio continuo che, pur non conoscendo pause, riesce a spostare di volta in volta il baricentro interpretativo di ogni singolo spettatore che, in questo modo, diventa parte integrante di un universo quantistico carico di energia. Una tensione viva, palpabile, fruibile in grado di creare un contesto magico in cui la musica di Apparat rappresenta un irresistibile richiamo al sublime fascino di una bellezza eterea e perturbante al contempo.

Raffaella Sbrescia

Intervista a Luca Carboni: “Pop -Up è un album elettronico in cui vi parlo d’amore”

Luca Carboni

Luca Carboni

Luca Carboni torna ad emozionarci con “Pop Up” (Sony Music), un album di inediti figlio del nostro tempo ma che mette in risalto tutta la bellezza e la profondità di una sensibilità ancora forte, vivida e potente.  Seguendo il filo conduttore dell’amore, il  cantautore bolognese si concede lo sfizio di un album «tecnologico» avvalendosi della produzione  di Michele Canova Iorfida e, dopo il successo trasversale ottenuto dai duetti di “Fisico e politico”, è interessante scoprire quanti spunti autobiografici siano presenti in queste undici canzoni intrise di pop, ironia, amore e qualche immancabile frecciata su temi d’attualità.  In questo nuovo viaggio che affonda le radici negli anni ’80, Luca Carboni volge lo sguardo verso il futuro con grazia, carisma e perseveranza perché se magari un disco non può fare la felicità, almeno può regalarci tanti momenti felici.

Ecco cosa ci ha raccontato Luca Carboni in occasione della presentazione del disco alla stampa.

Chi è oggi Luca Carboni?
Nasco come autore, sognavo di farlo per altri non avevo la priorità di salire sul palco. Ci tengo che quel che faccio possa arrivare senza etichette e senza barriere ma non ho mai lottato per essere primo della classe. Anche a scuola ero tra gli ultimi.
“Luca lo stesso” potrebbe essere interpretato come una sorta di rivendicazione del tuo ruolo di cantante di successo?

No, la canzone non è nata per esserlo, non ne sentivo l’esigenza.  Nel corso della mia carriera ho fatto la scelta di farmi da parte e di fare dischi meno diretti di questo.

Quali fasi hanno scandito la gestazione di “Pop-Up”?
Questo è il mio undicesimo album di inediti in 30 anni di carriera. In passato sono sempre partito con cinque pezzi realizzando gli ultimi in studio, non sono mai partito con tutto pronto. Stavolta ci ho lavorato per due anni e, tra tutto quel che avevo a disposizione, ho portato a termine solo le cose che avessero più senso. Michele Canova l’ho cercato io due anni fa perché avevo in mente di fare esattamente un disco come questo. All’inizio abbiamo subito scritto “Fisico e politico” e abbiamo poi deciso di realizzare una raccolta. Quello è stato il primo step che ha portato a questo disco. Mi piace Michele quando fa cose elettroniche e lavora di programmazione: in questo album hanno suonato soltanto tre musicisti. Sotto questo aspetto è un disco molto simile a quello del ‘92 (“Carboni”). Abbiamo completato un pezzo alla volta. Poi ho scoperto la bellezza di Garage Band e mi ci sono dedicato spessissimo, soprattutto di notte.

Cosa pensi del fatto che Michele Canova abbia prodotto tanti dischi negli ultimi tempi?
Canova è un grande produttore perché entra in sintonia con la personalità di chi quel disco lo sta facendo.

Come spieghi la scelta del titolo?
Cercavo un titolo simile a “Forever”, qualcosa che facesse solo intravedere album senza spiegarlo. Ho scelto “Pop-up”, come i libri magici per bambini che hanno elementi ritagliati che aprendosi diventano tridimensionali o come le finestre nel web. Altri titoli non rispettavano la parte musicale delle canzoni che vale quanto quella autorale.

 “Chiedo scusa” nasce da un componimento della poetessa polacca Wislawa Szymborska ed è uno dei brani più belli di tutto l’album.

Grazie. Quando scrivo un disco mi viene voglia di leggere poesie e lavoro su quelle che mi affascinano di più. Così era stato con Prevert per “Persone silenziose”(il brano era “I ragazzi che si amano”), così è stato anche con “Chiedo scusa”. Mia moglie mi ha fatto scoprire la poetessa Szymborska ed è scattata la magia mentre lavoravo su Garage Band. Il ritornello esce completamente da lei e dalla sua poesia e diventa una canzone completamente mia, anche come testo.

Come mai in diverse canzoni appare la parola odio?
Odio è una parola che generalmente non uso. Questo album è un insieme di canzoni d’amore, esse rappresentano la mia arma per combattere l’odio,  purtroppo ancora vivo e vegeto.

Perchè hai lanciato l’hashtag, #undiscopuòdarelafelicità?
L’ho fatto perché a me ha dato felicità fare questo album e provo felicità ad ascoltarlo. Il concetto che sta dietro questo slogan è che un disco ha una funzione sociale, agisce sull’anima e sul cuore di chi lo ascolta. Oggi questo aspetto è sminuito, invece un disco è una cosa importante.

Parlare d’amore ha segnato un cambio di tendenza importante nella tua produzione

Vent’anni fa mi vantavo di avere successo con singoli che non erano d’amore, oggi dico che la vera forza è questa. Mi piaceva l’idea di fare un grande album d’amore. L’ultimo brano,“Invincibili”, riassume un po’ tutto il disco, anche se musicalmente è più nudo degli altri. Il filo conduttore è che tutto alla fine viene ricondotto all’amore.

Nel brano “10 minuti” a un certo punto dici ‘spazio rap’. Perché?
Era un appunto. Inizialmente pensavo che mi sarebbe piaciuto avere una parte rappata (il rap italiano mi piace molto), ma alla fine non ero più così convinto dell’idea. E’ rimasto come invito a rappare quando ascoltate il brano.

In caso a chi avresti proposto di farlo?
Il mio rapper italiano preferito è Lorenzo, che non fa più rap. In realtà non ho nemmeno pensato a un nome, direi J-Ax, Clementino. Fabri Fibra no perché abbiamo già lavorato insieme (per “Fisico e politico”).

L’amore per Bologna è rimasto intatto?

Il mio amore per Bologna non è diminuito nel tempo. Ho parlato molto di Bologna, tanto che quando stavo scrivendo un’altra canzone sullo stesso tema l’ho messa da parte per paura che fosse una ripetizione di “La mia città”. Poi invece ho scritto “Bologna è una regola” con Alessandro Raina che mi ha spinto a parlarne ancora. Forse  questa è la canzone migliore che abbia fatto su Bologna.

E “Milano”?

Questa canzone si ispira ai miei pensieri di ragazzo ed è dedicata a una mia cugina che non c’è più e che da Bologna si è trasferita a Milano. Bologna è magica ma Milano è stata a lungo il centro del mondo. Ho pensato di andarci a vivere, per noi di provincia era la meta per antonomasia. La canzone parla di andare in fondo a se stessi, cercare la propria vera realizzazione e il senso della vita consapevoli che ci sono posti da cui scappare e altri dove restare e realizzarsi.

Intensi gli interrogativi che poni in “Dio in cosa crede”.
Potrebbe sembrare una canzone teologica e complessa, ma in realtà la immagino come una domanda infantile: noi crediamo in Dio ma lui crede in noi?

Sanremo?

 Ho pubblicato il disco adesso, ormai è andato. Avrei dovuto partecipare nell’84. Per questo era stata posticipata l’uscita del mio album. Poi al Festival presero Ramazzotti con “Terra promessa”. Io con il mio disco partecipai al Festivalbar e vinsi. Ho preso questa vicenda come un segno: non dovevo passare da Sanremo.

Cosa ascolti?
Di tutto, anche se mi piace di più ascoltare un pezzo rap che un pop tradizionale. In ogni caso quando scrivo non ascolto niente anche per evitare similitudini.

Cosa hai pensato per il tour?
L’ho posticipato all’anno prossimo perché voglio avere il tempo di pensarci bene. Lo voglio molto figlio di questo album e con questo suono. Ho anche idee estetiche di racconto che vorrei elaborare bene… vi racconterò tutto più avanti!

Raffaella Sbrescia

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Video: Luca lo stesso

Fred De Palma presenta “Boyfred”, la svolta in un album autobiografico. L’intervista

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Si apre, da oggi, un nuovo capitolo per Fred De Palma che, con “Boyfred”, entra nella squadra Warner Music decidendo di raccontarsi in un disco autobiografico, in linea con i tempi, connotato da testi intimi, rime scomode e sonorità trap. Il giovane artista, classe ‘89, scrive e usa il rap, la canzone, il pop, la dance a seconda di quello che vuole raccontare liberandosi dai confini dei generi. All’interno delle 14 tracce che compongono il disco, abbiamo modo di capire ogni sfaccettatura di suo questo importante momento di maturazione artistica. Abbiamo incontrato Fred alla viglia dell’uscita dell’album e questo  è quello che ci ha raccontato.

Fred, è vero che il rap è diventato un canone?

Secondo me ci sono due tipi di rap in Italia: c’è il rap puro, più fedele alla vecchia scuola, poi c’è un nuovo filone molto più melodico, pensato per arrivare al maggior numero di persone possibile.

La melodia rende il rap più accessibile?

Anche in questo caso sono anche due tipi di ascoltatori: quelli che ascoltano i testi per scoprire le rime e quelli più casuali che badano solo al ritornello. Il pubblico, in ogni caso, deve ancora assimilare alcune cose. L’aspetto positivo è che prima non c’era tanta distinzione, ora, invece, noto che comincia ad esserci un approccio più critico ed il riconoscimento del valore specifico di ciò che viene fatto.

Tu tieni più al testo o alla musica?

Tengo molto alla scrittura e parto sempre dal testo. La ricerca del ritornello giusto è  la mia seconda preoccupazione, deve esserci un momento catchy non solo per il pubblico ma anche per me. Per il resto credo sia ovvio che, da qui a due anni, la melodia nel rap diventerà un trend di tutti quelli che fanno il mio genere.

Questo album segna un distacco ma anche un  nuovo inizio?

L’idea di questo disco è nata con la finalità di evolvermi. Tutto qui è diverso, a partire dal modo di scrivere.  A differenza di tanti, ho scelto di non duettare con nessuno perché “Boyfred” è un disco personale. Ho pensato che un featuring avrebbe tolto coerenza ai brani  e avrebbe reso un po’ dispersiva la storia che volevo raccontare. L’unico modo che ho per entrare davvero in contatto con il pubblico è far conoscere me stesso, oltre alle mie canzoni.

Come mai “Stanza 365” è il brano più importante dell’album?

Questo brano è veramente intimo, mi trasmette tanto e spero che lo stesso avvenga con il pubblico. Nel disco precedente avevo già iniziato questo tipo di percorso di scrittura ma non avevo ancora l’esperienza giusta per scrivere una vera e propria canzone. I rapper in generale scrivono pezzi piuttosto che canzoni. La differenza è alla base è in questa canzone c’è tutto quello che serve per definirla tale.

C’è una metodica in quello che fai?

Non ho mai scritto un pezzo in più di un’ora quindi si tratta di una cosa molto immediata. Mi sono sempre esercitato da solo a scrivere, all’inizio stavo 8 ore a cercare uno stile mio e spero che oggi riesca trasmettere al pubblico tutto questo.

Come è nata la collaborazione con Baby K per “Licenza di uccidere’?

Mi ha scritto mesi fa su Twitter.  Sono passato in studio da lei, ci siamo complimentati a vicenda e abbiamo deciso di fare un pezzo insieme scrivendo le rispettive strofe del brano. È stato tutto molto naturale.

Quanto si distacca questo disco dai tuoi lavori precedenti?

“Boyfred” è frutto di una ricerca minuziosa. In genere tendo a scrivere su canzoni di altri, che rispecchiano quello che voglio dire io, e, successivamente, mi faccio rifare tutte le basi da zero. Lavoro sul suono solo dopo aver finito la canzone, si tratta di un metodo abbastanza comune tra i rapper. Ho lavorato con MACE dei ReSet!, uno dei più  forti “trappisti” in Italia. Mi sono fatto consigliare molto da lui sul suono, i pezzi mi sono molto piaciuti e abbiamo continuato in questa direzione alternandoli ad altri più suonati. Poi c’è Davide Ferrario, un musicista particolarmente ispirato. Loro due, insieme, hanno creato qualcosa di nuovo.

“Serenata Trap” è un ovvio richiamo al brano di Jovanotti…

Sì, si tratta di un tributo ad un pezzo che è un cult della storia della musica italiana. La mia è una sorta di versione 2.0 di un brano in cui uso con lo slang e l’approccio contemporaneo. La gente mi critica perché a volte uso delle frasi molto forti però, in realtà, quello che faccio io è prendere quello che c’è e portarlo in musica.

Anche in “Fenomeno” ci sono un po’ di frasi che scuotono gli animi?

Questo brano è dedicato ai miei fan. Il testo parla dell’incontro tra me e un fan in metropolitana. L’episodio è accaduto realmente ed è per questo che ho deciso di scriverci una canzone. In questo brano colgo anche l’occasione per rispondere a tutti quelli che, vedendomi impegnato a fare musica, credono che io sia sempre felice, niente di più sbagliato. Ecco, questa è l’occasione per  raccontare l’altra faccia della medaglia.

Per quanto riguarda lo stacco tra “Lettera al successo parte 1 e 2” e questo nuovo album, che tipo di evoluzione c’è stata nei temi e nei contenuti?

Si dice sempre che quando un artista cambia, anche il suo pubblico cambia. Spesso le persone si affezionano ad una parte di te che, evolvendosi, viene messa un po’ da parte. In generale, cerco sempre di raccontarmi sui social, rendo le persone partecipi delle mie evoluzioni. Il nocciolo della questione sta nel mondo in cui si scrivono le canzoni: se evolvi in maniera coerente, il pubblicodovrebbe evolvere con te altrimenti non è un pubblico vero.

Cosa racchiude il concetto di “Web credibility”?

Ho realizzato dei video simpatici usando il rap e li ho caricati su Facebook. Tutti usano i social come mezzo per arrivare ad un pubblico più ampio per cui ho pensato di usare questo passatempo come una sorta di nuovo tipo di free style. Il web è la nuova strada.

Hai partecipato a tante competizioni di free style, ne senti mai la mancanza?

Fino ad un certo punto. Del freestyle non mi manca niente perché lo faccio tuttora con i miei amici. Magari mi manca quell’ansia positiva di quando facevo le gare girando l’Italia da solo partecipando a tutti i contest possibili.

Per concludere, come sarà il tuo nuovo live?

Tutto è ancora in via di definizione.  Dovrà essere una cosa diversa da quello che c’è in giro, sto cercando un nuovo approccio con il pubblico. Vi aggiornerò molto presto!

 Raffaella Sbrescia

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TRACKLIST

1. Dov’eri tu 2. Serenata Trap 3. Stanza n. 365 4. Non scordare mai 5. Canterai 6. BoyFred 7. Buenos Dias 8. Slogan 9. Tutto qui 10 Due cuori e una caparra 11.Fenomeno 12. Noi due 13. VodkaLemonHaze 14.Chiudo gli occhi

 Video: Stanza 365

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