Domenica 6 settembre c’è stata la grande mobilitazione di tutto il jazz italiano per animare con i suoni del jazz il centro storico della città in ricostruzione e contribuire nell’opera di sensibilizzazione indirizzata ad accelerare i tempi della ricostruzione dell’Aquila. Fortemente voluta dal Ministro Dario Franceschini, dal Sindaco dell’Aquila Massimo Cialente e dal musicista e direttore artistico Paolo Fresu, e grazie al sostegno della Società Italiana degli Autori ed Editori, con il contributo di Puglia Sounds, l’iniziativa ha coinvolto 600 jazzisti per 100 concerti in sole 12 ore.
Il Jazz Italiano per l’Aquila ph Luigi Maffettone
Una giornata che passerà alla storia come il momento jazzistico più ricco e importante che abbia mai avuto il nostro Paese. La maratona musicale ha avuto inizio alle ore 12,00 per terminare intorno alla mezzanotte. L’impegnativo allestimento della manifestazione, nei luoghi decentrati e sul palco centrale di Piazza Duomo è stato curato dal Comune dell’Aquila con venti diverse postazioni disseminate lungo un percorso a stretto contatto con i cantieri della ricostruzione e attraverso la suggestiva e drammatica vicinanza con i luoghi, i palazzi ed i monumenti che lentamente stanno iniziando a rivivere.
Il Jazz Italiano per l’Aquila ph Luigi Maffettone
Il percorso musicale, indicato man mano dalle marching band, ha coinvolto la Basilica di San Bernardino, la Chiesa di San Giuseppe Artigiano, il Chiostro di San Domenico, i Portici di Via San Bernardino, Piazza dei Gesuiti, Via del Castello, Largo Tunisia, l’interno e l’esterno del nuovo Auditorium, Piazza Chiarino, Via Borgo Rivera, la Fortezza, la Fontana delle 99 Cannelle senza tralasciare i numerosi happening improvvisati; il tutto si è concluso in Piazza Duomo per il concerto serale.
Il Jazz Italiano per l’Aquila ph Luigi Maffettone
Dai gruppi stabili più noti fino alle Big Band, passando per le marching band fino ai combos di insieme dei conservatori e delle scuole e a tantissimi giovani talenti, ai gruppi espressione di festival o realtà regionali, la risposta del mondo del jazz italiano è stata unanime e positiva. La partecipazione massiccia dei musicisti e di tutti gli operatori del settore conferma quanto oggi il jazz italiano sia sempre più vivo e dinamico. Lo è sia nelle sue espressioni artistiche sia nella fitta rete di realtà che lo rappresentano su tutto il territorio nazionale, realtà che da qualche anno dialogano tese alla costruzione di un progetto comune con l’obiettivo di dare voce ad una musica oggi profondamente radicata nel nostro paese.
Una lunga gestazione, un meticoloso lavoro di ricerca sonora e musicale e messaggi pregni di significato caratterizzano “Le stelle non tremano”, il sesto album in studio di Dolcenera pubblicato l’11 settembre. L’album arriva a distanza di tre anni dal precedente “Evoluzione della specie” ed è interamente scritto, arrangiato e prodotto dall’artista. Gli undici inediti presenti nella tracklist trovano ispirazione in Kant, Platone, Gandhi, così come a Pasolini e Monicelli e si muovono tra suoni elettronici, canzone d’autore e contaminazioni orientali e africane confermando la natura eclettica di Dolcenera, sempre più cantautrice del nostro tempo. Tra filosofia, sentimenti e ricerca, Emanuela Trane disegna il percorso di un cammino che offre diverse piste da seguire. Il risultato è un’accattivante alchimia di generi che va dal pop più classico alla dance più esaltante, dal rock più graffiante al sound dell’estremo oriente. Con le sue debolezze, i suoi punti di forza e tutta la passione che la contraddistingue, Dolcenera è tornata con un progetto ambizioso, completo, innovativo che esorcizza il nostro demone comune: la paura del futuro.
Ecco quello che l’artista ci ha raccontato:
“Le stelle non tremano” è un album che non lascia niente al caso, a partire dalla data di uscita…
Tutti tendono a ricordare più facilmente la dichiarazione di guerra al mondo con il tragico attentato che ha coinvolto le Torri Gemelle di New York, invece della dichiarazione di pace nel mondo che fece Gandhi nel 1906 con la ‘Satyagraha’. Verso i tre quarti del processo di scrittura dei testi di questo album mi sono resa conto del fatto che parlavo sempre della stessa cosa, temevo che mi stessi ripetendo e mi chiedevo dove volessi arrivare. Alla fine ho capito che il filo conduttore era uno solo: combattere la paura del futuro. Mi sono resa conto che questa tematica era presente in tutti i pezzi, ognuno chiaramente prendeva un’accezione diversa però partiva sempre da una constatazione della realtà e del nostro periodo storico. Siccome l’11 settembre è il giorno in cui hanno voluto metterci paura, ho scelto questo giorno proprio per esorcizzare la paura. In “Niente al mondo”, ad esempio, ho scritto: “Abbiamo vinto/abbiamo perso ma/è il nostro tempo/per quello che ne so/ è tutto quello che ho”; c’è stata una fase in cui siamo stati bene e adesso siamo in crisi ma questo è il nostro tempo ed è tutto quello che abbiamo.
Perché contrapponi il sogno alla speranza?
Volevo scrivere una canzone sulla speranza per innescare un tipo di atteggiamento positivo. Dopo la rabbia di “Ci vediamo a casa”, un pezzo che non dava speranze in cui cantavo “La chiamano realtà questo caos legale di dubbia opportunità”, ho voluto trasformare questo sentimento in speranza contro precarietà e disgregazione. Mi sono ritrovata per caso a leggere qualcosa di Pasolini e guardare su Youtube un video di Monicelli, entrambi avevano detto in momenti diversi la stessa cosa: avevano contrapposto la speranza al sogno. La speranza è qualcosa di negativo e di passivo che ti porta a credere che ci sia qualcuno che ti possa regalare una via d’uscita; il sogno invece è attivo, porta a muoversi, ad agire. Ho capito che bisogna combattere la passività della speranza, non serve aspettarsi qualcosa se questo non viene cercato e conquistato.
Il testo di “Credo” gioca su alcuni atti di fede smontandoli subito dopo. Tu in cosa credi?
Credo nella passionalità, nella trasparenza , nella sincerità, nell’equilibrio dei sentimenti e delle forze della natura, nell’amore e nella capacità di raggrupparsi. Alla fine credo che tutto sia collegato dalle fogne fino al cielo stellato. Siamo tutti inscindibilmente collegati.
Come sei arrivata al titolo dell’album?
Il titolo nasce da una frase che è all’interno di “Fantastica”, una canzone dedicata a un amico che non c’è più e che mi ha insegnato a vivere con un sorriso, con ironia. “Le stelle non tremano” è arrivato anche perché lui studiava ingegneria aerospaziale e anche perché quando si pensa ad una persona che non c’è si tende a guardare il cielo. Un’altra motivazione è che questa frase è anche metafora di non avere paura, provare a guardare le cose da una diversa prospettiva.
Cos’è che ti fa sognare?
Mi appiglio ogni volta a qualcosa di diverso: all’amore, alla passione, allo sport (sono sempre stata una sportiva sin da bambina), alla musica. Le passioni possono essere cangianti ma ogni volta devo andare fino in fondo. Mi piace conoscere, sapere, scavare e la musica è qualcosa che ti consente di continuare ad imparare e conoscere per tutta la vita.
Dolcenera ph Paolo Cecchin
Quanto tempo ci voluto per realizzare questo progetto?
Ho scritto l’album in due anni e mezzo, quasi tre. Si tratta di un lavoro portato avanti a fasi, con tempi di pausa. Ho sempre cercato di mantenere una certa indipendenza artistica, lasciando alla persona il tempo di vivere per poter raccontare. Un lusso che mi sono concessa e che si paga in tanti modi. Ad esempio in famiglia non fanno altro che ripetermi che non mi si vede in tv. Che devo farci? Sto facendo quello per cui forse dopo andrò in tv (ride ndr).
A proposito di presenza in tv, l’esperienza del reality l’hai definita devastante…
Sì, quella sì. Sono stata la madrina di questo disastro (ride, ndr). Music Farm uno strano reality musicale con dei cantanti che avevano anni di carriera alle spalle. Fu una rivelazione il fatto che per ben due edizioni vinse ‘il giovane’ del gruppo. Quando ho fatto quell’esperienza, non avevo consapevolezza dell’età che avevo , ero più chiusa, più bambina. Anche da ragazzina non parlavo spesso, per me è stato molto difficile. In seguito ho dovuto cambiare approccio ma questo cambiamento è avvenuto solo recentemente. La cosa bella di quell’esperienza è stato il mio scoprirmi arrangiatrice. Per esempio quando c’era da fare una cover, potevo studiarla e farla mia. Mi ricordo soprattutto la mia versione di “I will survive”.
Ti capita di guardare i reality show?
Io non guardo assolutamente reality, guardo solo Super Tennis, DMax e Focus.
Parlando della minuziosa ricerca sonora che caratterizza il disco, ci racconti le tappe che hanno scandito la scelta degli arrangiamenti, in particolare quello di “Immenso”?
“Immenso” è una delle mie preferite del nuovo album. L’arrangiamento è molto particolare, moderno ma al contempo fedele alla tradizione della musica italiana. E’ un pezzo che ruota attorno a diversi punti di vista, c’è lo spazio che riempie il cuore, ma anche un vuoto che crea un abisso nell’anima. Ho lavorato veramente molto alla realizzazione di questo brano, circa due mesi. La grande scoperta è il synth suonato a reverse, una figata cosmica. Ho usato anche una tromba solista e, dato che mi è piaciuta molto, l’ho inserita in diversi pezzi. Anche il basso di questo pezzo è uno dei più belli dell’album; l’ ho programmato nota per nota al pianoforte ed è difficilissimo da suonare.
Dolcenera ph Paolo Cecchin
Come porterai tutto questo in tour?
Sono due anni che non faccio tour, non posso portare una trentina di elementi sul palco per cui dovrò capire come riarrangiare tutto con 4-5 elementi . C’è un uomo che renderà speciale la scenografia dello spettacolo, lui è Joe Campana, un super professionista che lavora con i più importanti nomi della musica italiana ma soprattutto un uomo concettuale. A dicembre ci sarà un tour teatrale e, sebbene, non si tratterà di un concerto acustico, non rinuncerò ad una parte piano e voce in cui potrò sbizzarrirmi e divertirmi di più.
Ci racconti come è nato il concept della cover e del booklet dell’album?
Conosco da anni Guido Daniele, un artista di fama internazionale, un uomo che fa parte di una generazione folle, che noi non possiamo capire. Guido mi proponeva da tempo un progetto artistico e, in quest’occasione, ha voluto coinvolgere anche il noto fotografo Paolo Cecchin lasciandomi comunque la libertà di scegliere cosa farmi dipingere sul mio corpo. Dato che per questo disco ho pensato all’elettronica contaminata da strumenti primordiali, ho pensato a circuiti e neuroni; sono un’aliena con tratti umani.
Come affronti la paura?
Riesco a superare la paura dei cambiamenti soltanto con la voglia di sorprendermi. Non posso pensare di poter fare una cosa uguale all’altra, devo poter crescere, questa è l’unica cosa che mi salva.
Il brano “L’anima in una lacrima” racchiude in sé una metafora che esprime un concetto molto intenso. A cosa o chi ti sei ispirata?
Avevo in testa questa frase a cui pian piano volevo dare un senso. Quando ho scoperto le parole di Herman Herman Hesse ho capito: “Le lacrime sono lo sciogliersi del ghiaccio dell’anima”. Parole diverse per esprimere un concetto simile e che possono raccontare sentimenti e situazioni differenti.
Ne “Il Viaggio” dici: “Cos’è che vedi in me tra miliardi di vite”. Un maestoso interrogativo…
Questa canzone ha una doppia dedica: in primis al mio compagno e poi ai ragazzi del mio Fanclub. Ho tradotto il tutto in forma musicale con le claps da stadio, i cori e la condivisione dei suoni che arrivano dal pubblico.
Quanto amore c’è in questo lavoro?
L’amore in questo disco è presente in tante forme: l’amore verso un progetto, verso un sogno condiviso, per la persona che ti sta accanto, colui che ti dà l’equilibrio e che ti tira fuori dalla depressione.
Dolcenera ph Paolo Cecchin
Perché hai definito il brano “Universale” come una sorta di testamento?
Questo è il mio pezzo preferito, oltre a “Immenso”. Chiaramente anche gli altri brani hanno una particolarità sia sonora che contenutistica. Questo, però, è un po’ più complicato. “Effimero è il destino di vivere sospesi” è l’intro ed è già chiaro che siamo su un altro livello. Adoro questo pezzo perché è complicato quanto lo sono io, è la sintesi totale di me. Nella terza strofa scrivo: “Determina le sorti/non è virtù dei fessi/ avere più fiducia/per credere in se stessi/ ma è come avere in mano un libro senza le parole”. Il senso è: va bene essere caparbi ma bisogna avere un contenuto, bisogna sforzarsi di riflettere, di avere un’opinione sul mondo, di studiare, di approfondire, avere la voglia di scrivere ogni giorno una frase nuova sul libro della vita.
Ogni giorno è un giudizio?
La capacità di autoanalisi è la nostra prova quotidiana. “Cerco di fare qualcosa di nuovo ogni giorno, senza paura”, così mi disse un miliardario che incrociai una volta in Sardegna. Alla fine è vero, l’attitudine a fare una cosa diversa al giorno può fare la differenza nel nostro piccolo.
Stai anche producendo dei lavori per altri?
Sì sto seguendo un ragazzo ma è ancora top secret.
Com’è lavorare con te?
Siccome io ho fatto tutto da sola, sono convinta che anche gli altri debbano fare da soli. L’ideale è scoprire qual è la caratteristica di suono più adatta alla propria scrittura. Insieme facciamo un percorso mentale e di scrittura poi chiaramente ci metto un po’ del mio per quanto riguarda gli arrangiamenti…
Quali sono i tuoi ascolti?
Non ho un gusto musicale preciso, a me piace tutto e cerco di prendere il meglio di ogni genere. Mi piace usare diverse applicazioni che mi consentono di spaziare. Non parlo solo di iTunes e Spotify, c’è anche Discover Music che mi permette di scoprire gruppi e cantautori che non hanno mai pubblicato.
Tornano gli incontri professionali del Medimex, il salone dell’innovazione musicale promosso da Puglia Sounds alla Fiera del Levante di Bari dal 29 al 31 ottobre. Oltre ai numerosi appuntamenti rivolti al pubblico, anche quest’anno il Medimex propone importanti opportunità di conoscenza e approfondimento per gli addetti ai lavori, che avranno l’occasione unica in Italia di incontrare esperti del mercato mondiale della musica. Per la sezione internazionale – che verrà affiancata da un segmento con i rappresentati dei principali festival italiani – arriveranno direttori artistici ed esperti in organizzazione, produzione e promozione da Glastonbury (Gran Bretagna), Eurosonic (Olanda), Roskilde (Danimarca), South by Southwest (Stati Uniti) e Great Escape (Gran Bretagna), tra i festival più importanti su scala planetaria.
Iscrivendosi sul sito www.medimex.it, nell’area riservata, artisti e operatori musicali potranno confrontarsi con manager ed esperti provenienti dalle rassegne più prestigiose di quindici Paesi, dall’America alla Cina, e accrescere competenze e contatti. In particolare, durante la tre giorni del Medimex, sono previsti workshop sul mercato degli Stati Uniti con il manager americano Mark Gartenberg e l’editore Eric Beall della Shapiro Bernstein, e su quello della Germania con il tedesco Ralph Christoph del c/o pop Festival. E ancora i workshop con André Faleiros, talent scout del Cirque du Soleil - la famosa multinazionale con base in Canada che ha cambiato il modo di intendere il circo – e con i ricercatori Mattia Bergomi, Frédéric Bevilacqua, Riccardo Borghesi e il compositore Daniele Ghisi dell’Ircam di Parigi, il principale centro di ricerca acustica ed elettronica e punto di riferimento per la musica contemporanea. In calendario anche i case history sui festival Roskilde e Glastonbury, dei quali parleranno rispettivamente Henrik Rasmussen e Malcolm Haynes, e su Eurosonic, con l’intervento del fondatore e direttore Peter Smidt. Verranno inoltre proposti focus sul Mediterraneo con i panel e i face to face di Rania Elias-Khoury del Jerusalem Festival (Palestina) e di Brahim El Mazned del Visa for Music e del Timitar Festival (Marocco). Finestre sulla world music, l’indie pop-rock, il jazz e la musica d’avanguardia si apriranno, inoltre, grazie alla presenza dei direttori artistici di Cross Kultur (Polonia), Kolkata International Music Festival (India), SummerStage (Usa), Waves Festival (Austria), Jazz in Seoul e Zandari Festa (Sud Corea), Hong Kong International Jazz Festival e Sound of the Xity (Cina), Usadba Jazz Festival (Russia), Europa Vox Festival, Printemps de Bourges e Le festival Kiosquorama (Francia), Jazz Fest di Sarajevo (Bosnia Herzegovina), Luminato Festival e Mundial Montréal (Canada).
Medimex è un progetto Puglia Sounds – FSC 2007-2013 – INVESTIAMO NEL VOSTRO FUTURO – il programma per lo sviluppo e la promozione del sistema musicale pugliese che la Regione Puglia, Assessorato al Mediterraneo e Assessorato al Turismo nell’ambito del fondo di sviluppo e di coesione 2007-2013 ha affidato al Teatro Pubblico Pugliese.
“Per un po’ di tempo abbiamo rischiato di dover dividere un appartamento. Non è successo, ma abbiamo pensato che sarebbe stato comunque carino abitare il palco”. Con queste parole Colapesce e Di Martino, due dei più interessanti cantautori attualmente presenti all’interno dello scenario musicale italiano, hanno introdotto lo speciale concerto tenutosi lo scorso 9 settembre sul palco del CarroPonte di Sesto San Giovanni. “Conquilini” è, infatti, il titolo di questo live in cui i due artisti siciliani hanno condiviso note, spazi ed emozioni. Entrambi protagonisti, con le rispettive band, di due set distinti, i due hanno infine dato vita ad un finale collettivo all’insegna della creatività e della fratellanza artistica. Ad inaugurare il concerto è il set di Antonio Di Martino che, pur attingendo dai capisaldi della canzone d’autore, è contraddistinto da una scrittura moderna e ricercatissima. “Sarebbe bello non asciarsi mai ma abbandonarsi ogni tanto è utile”, canta Antonio, proseguendo il suo live con brani evocativi ed immaginifici che mordono il cuore e attanagliano la mente. Con le canzoni tratte dall’ultimo album di inediti “Un paese ci vuole”, Di Martino parla di una condizione umana in estinzione, uno status mentis che pian piano sta scomparendo ma risulta ancora necessario per vivere in modo autentico. “Come Una Guerra La Primavera”, “Niente Da Dichiarare”, “L’Isola Che C’è”, “Le Montagne”, “Calendari”, “Maledetto Autunno”, “Cercasi Anima” e “Non Siamo Gli Alberi” dimostrano le ottime qualità di Antonio Di Martino sia dal punto di vista musicale che autorale.
Colapesce ph Laura Lo Faro
Non è da meno il bravissimo Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, il cui tour accompagna l’uscita invernale dell’album “Egomostro”. Grazie alle sonorità assortite e arricchite da una sezione ritmica più marcata e da un buon contributo elettronico, gli arrangiamenti creano un vibrante tappeto per parole che toccano l’anima da vicino. Con il suo morbido cantato, dai chiari rimandi battistiani, Colapesce incentra i suoi testi sul mondo interiore e questa introspezione appare come una vera e propria sublimazione del vissuto personale. Le code di riff che scandiscono la fine di alcuni brani scuotono di tanto in tanto un’atmosfera sognante. “Entra pure”, “Egomostro”, “Sottocoperta”, Un giorno di festa”, “Brezsny”, “Reale”, “L’altra guancia”, Satellite”, “Maledetti italiani”, “Restiamo in casa” e “Bogotà” sono le canzoni che Colapesce ha scelto per emozionare il pubblico del CarroPonte. Gran finale con il rientro di Antonio Di Martino sul palco per concludere al meglio un concerto come non se ne sentivano da un pò di tempo con “Ormai siamo troppo giovani”, ”Da cielo a cielo”, “Le foglie appese”, “Stati di grazia”, ”Copperfield”.
Esce il CD Women Profile for Africa a sostegno dell’omonimo progetto di Fondazione Umberto Veronesi e Cesvi per la prevenzione e la diagnosi del tumore al collo dell’utero per le donne africane nella Repubblica Democratica del Congo.
Ogni singolo acquisto dell’album (fisico e digitale) permetterà a una donna congolese di effettuare un pap test per combattere il tumore all’utero, che ancora oggi è il terzo tumore più diffuso tra le donne di tutto il mondo ed è la causa principale di morte per cancro tra le donne africane.
Grazie al prezioso sostegno di Warner Music Italy, sono stati selezionati artisti e brani capaci di suscitare emozioni durante l’ascolto. L’ascoltatore potrà immergersi nelle suggestive alchimie dei suoni Afro-Pop e Urban-Soul di Zap Mama, nel coinvolgente ritmo dell’astro emergente Y’akoto, fino a incontrare una delle icone, non solo musicali, del mondo africano Angélique Kidjo, in un duetto R&b con Joss Stone nella rilettura di un classico degli Stones.
Non mancano suoni più occidentali, come “People Help the People”, elogio al supporto reciproco di Birdy,la splendida ballad“I’ll Stand by You” deiPretenders, fino ad arrivare a “Somewhere Only We Know”, toccante messaggio di Lily Allen.
Impossibile non citare le figure artistiche dei Morcheeba, con l’ipnotica e sognante “The Sea”, gli Everything But The Girl e il loro prezioso manuale per decifrare il linguaggio di donne e bambini e Irene Grandi con “(You Make Me Feel) Like a Natural Woman”, appassionato omaggio al mondo femminile.
La selezione propone anche la malinconica e raffinata Imany, l’Afropean hip-hop delle Les Nubians, il flamenco attualizzato dell’ispano-guineanaBuika e l’inno di solidarietà al popolo africano del duo del Mali Amadou & Mariam, rivisitato in un dance remix di Bob Sinclar.
Impreziosiscono la raccolta, due grandi artiste italiane, alle quali va il nostro sentito ringraziamento per la loro partecipazione: Ornella Vanoni e Laura Pausini.
Il progetto musicale mira a rafforzare la consapevolezza dell’importanza della prevenzione, anche oltre confini, e la volontà a sostenere un progetto come Women Profile for Africa.
L’album è disponibile in tutti i negozi di CD e nei principali store digitali (Itunes, Amazon, Google play, IBS, La Feltrinelli).
Unicità, talento, sperimentazione sono le parole in cui è racchiusa l’essenza di John De Leo, una delle voci più particolari della scena musicale italiana. Il poliedrico musicista-cantante-compositore-autore è da ascriversi a pieno titolo in quella scia di grandi pionieri della strumentazione e della sperimentazione della voce. L’artista sarà questa sera sul palco del CarroPonte (Sesto San Giovanni) per presentare “Il Grande Abarasse”, il disco che segna il ritorno di De Leo sulle scene a sette anni di distanza dal suo ultimo progetto discografico, un concept album ambientato in un ipotetico condominio all’interno del quale ogni brano corrisponde ad uno dei suoi appartamenti.
Intervista
Nel 2014 pubblicavi “Il Grande Abarasse”, un lavoro che ha richiesto molto impegno ed una lunga gestazione. Qual è il percorso che questo album ha compiuto fino ad oggi?
Se parliamo di viaggio, posso dire che “Il Grande Abarasse” ha percorso quanto meno l’Italia. Siamo inaspettatamente riusciti, io e i ragazzi della banda, piuttosto cospicua, a portarlo in giro in diversi concerti. Dico inaspettatamente perché questi ultimi tempi di crisi consigliano di ridurre sempre di più le formazioni e i relativi costi. Come antidoto a questa crisi, ho pensato di premere l’acceleratore in senso opposto, soprattutto riflettendo su esigenze musicali che implicavano un numero importante di musicisti.
Come è stato possibile portare avanti questo tipo di discorso live così complesso e chi ti accompagna in questa avventura?
In effetti sono tutti musicisti molto bravi, in tutto siamo nove e siamo anche affiatati aldilà delle scene. Ho sempre pensato che dovesse essere necessario poter condividere qualcos’altro aldilà del lavoro; forse sono invecchiato però ho bisogno anche di una certa tranquillità dal punto di vista umano.
La scelta di una band numerosa in qualche modo vuole rendere merito ad un lavoro che ha richiesto uno sforzo creativo importante?
Senz’altro. Questa formazione vorrebbe restituire il suono del cd, in cui ha collaborato un’orchestra vera e propria composta da una trentina di elementi. L’occasione è stata possibile grazie al contributo di Arci che ha supportato tutta l’operazione sia dal punto di vista economico che promozionale. Per restituire quella massa sonora, tutti gli arrangiamenti e tutti i contrappunti che sono stati pensati, ho scelto di portare più persone in tour, riducendo comunque il tutto all’osso con una piccola rappresentanza delle varie sezioni.
Per quanto riguarda il Ghost album, cosa hai pensato per valorizzarlo?
Sono lieto del riferimento a questo lavoro. Ai tempi della presentazione credetti che con questo album nascosto, che si può sentire dopo le tracce ufficiali, avrei potuto spaventare i giornalisti. Questo è il mio lato più sperimentale, limito la mia vocalità, che forse fino ad oggi è stata anche la mia fortuna, proprio per misurarmi con quella che forse è la mia passione parallela ed identica all’aspetto vocale che è, per l’appunto, la musica. Più che cantanti io ascolto soprattutto composizioni strumentali.
Quali?
Ascolto molti compositori di musica classica del ‘900. Di certo non mi metto minimamente a confronto però posso dire che rappresentano un grandissimo stimolo per me. Cito Musorgskij, un compositore che trovo ancora geniale perchè tende non spettacolarizzare una musica comunque densa di esplosione.
A proposito di questo, tempo fa hai dichiarato: “Non canto quello che la gente si aspetta, il rispetto per il pubblico non sta nell’accontentarlo”. Un punto di vista in netta controtendenza con l’attualità…
Questo non è solo il mio motto, è il mio credo. Credo di aver parafrasato il discorso del pittore Baziotes che in altri termini ha detto qualcosa di simile. Da ascoltatore, mi piace essere sorpreso da quello che ascolto ed essere traghettato dove non prevedevo sarei finito. La mia musica va verso questa direzione: evita approdi consolatori e telefonati.
Infatti uno degli obiettivi che si pone la tua musica è proprio quello di innescare domande…
Mi metto sempre nei panni dell’ascoltatore, essendo io stesso tale, nonché un grande appassionato di musica. Mi piace poter ricreare l’opera che sto ascoltando e fantasticare in modo arbitrario e personale rispetto alle volontà del compositore. Quando il compositore dà l’opportunità di fare questo esercizio in modo naturale per me la composizione è perfetta.
È vero che molte idee che dovevano confluire in questo album compiute o quasi?
Nonostante siano passati sette anni dall’ultima pubblicazione, di cui quattro sono stati necessari per il compimento di questo album, tante idee sono rimaste fuori mentre altre cose che ho pubblicato le vedo ancora come incompiute. Menomale che c’è qualcuno che dice basta ed evita che si esca direttamente con un disco postumo (ride ndr). Altre idee incompiute, o che non sono confluite qui, serviranno certamente per un prossimo album perché “Il mercato vuole che si sia sempre presenti con dei prodotti nuovi”.
John De Leo ph Elisa Caldana
Per quanto riguarda la dimensione live, come presenteresti un tuo concerto? Per esempio quello che terrai questa sera al CarroPonte di Sesto San Giovanni (Mi)?
Al CarroPonte si cercherà di portare a casa il concerto nel senso che non siamo in un teatro e lo dico anche felicemente. Sarà bello misurarci con un pubblico diverso da quello che ci si aspetta in teatro. Di contro la scaletta sarà più misurata verso l’impatto anche se non tradirò me stesso e cercherò di immettere tra i brani più facilmente ascoltabili, anche delle inserzioni astruse.
La tua è anche arte estemporanea…
Sì, ci sono diversi momenti di improvvisazione, cerco di condensare alcuni aspetti di due linguaggi come quello del jazz e della psichedelia nel rock. Apro delle parentesi improvvisate sempre nuove che cambiano in base alla location e al pubblico che, in questo senso, ha in mano le redini del concerto.
Tutto parte dell’amore per il dettaglio?
Senz’altro. Spesso l’idea narrativa nasce proprio da un dettaglio, altre volte la canzone stessa parla di un dettaglio. Quello che mi indigna è che la cultura è pregna dei linguaggi modificati dalla crisi del mercato. Per quel che mi riguarda cerco di non mortificarmi, non posso e non ci riesco, in virtù dell’amore delle cose che ascolto, aldilà delle mie. Non so posso suonare o raccontare qualcosa il cui fine sia semplicemente quello di accattivare qualcuno.
Vasco Rossi sarà al Mostra del Cinema di Venezia, domani 11 settembre, per la proiezione in anteprima de “Il Decalogo di Vasco” scritto, diretto dal Blob autore Fabio Masi, è un immaginario quanto reale viaggio di due amici (Gianluca della Valle e Fabio Masi) con la… Sagoma di Vasco Rossi.
Tra il reale e la fantasia, il film “su”, “con” e “dentro” Vasco Rossi, è suddiviso in 10 capitoli on the road, nove sogni a occhi aperti della Sagoma di Vasco e la sorpresa finale: estratto dal film, il video di “Quante volte”, l’intensa e profonda ballad dell’album “Sono Innocente”. Il brano sarà ‘on air’, nelle radio, e in tutte le piattaforme digitali, in contemporanea con l’evento a Venezia.
Decisamente qualcos’altro da quello che ci si può aspettare, il “Decalogo di Vasco” è un film sorprendente, per ironia, per poesia. Originale, per il montaggio e per la sua capacità di offrire un punto di vista nuovo. Un ritratto inedito e surreale della rockstar. Il cuore del film batte nel decimo capitolo, quando tutti gli elementi sparsi emblematicamente qua e là (le mani, profondo rossi…) si ricongiungono e confluiscono nel minimalismo del video “Quante volte”. Non è più la Sagoma ma Vasco in persona che si presta al gioco e sperimenta mettendoci la sua faccia. La potenza nella mimica del volto, un primissimo piano che racconta, resiste e cede alle “mani-polazioni” della vita.
Direttamente dal suo buen retiro in Puglia, Vasco sbarca in Laguna venerdì: dopo la sfilata sul Tappeto Rosso, sarà protagonista, alle 21, dell’Incontro Cinema in Giardino, in Sala Darsena per la proiezione in anteprima del Decalogo (i 2800 biglietti disponibili per le due proiezioni, si sono esauriti nel giro di neanche un’ora). A Venezia il rocker chiude una trionfale estate di concerti (14 date e doppi stadi per 600.000 fan) e riparte con “Quante volte”. Video, radio e… facebook! … Tutto in un giorno, venerdì 11 settembre, è Vasco day.
IL DECALOGO DI VASCO
Lungo 10 brevi e sostanziosi capitoli, della durata di un’ora di racconto e montaggio fuori dagli schemi. Tocca sì, temi esistenziali, colpisce anche duro ma, segno inequivocabile del Blob-autore doc, lo fa con leggerezza. Con ironia. E poesia.
Il film documentario “su” e “con” la Rock Star Vasco Rossi – attore a sua insaputa - con Gianluca Della Valle e Fabio Masi silenti compagni di viaggio della sagoma di Vasco.
Il film realizzato interamente con riprese originali e arricchito con le musiche tratte dall’album “L’altra metà del Cielo” (2012, balletto del Teatro Alla Scala) e arrangiate in versione classica dal M.ro Celso Valli. Dieci capitoli che già nei titoli enigmatici denotano auto ironia, tratto che accomuna Fabio Masi a Vasco Rossi:
“Preludio”
Dal suggestivo set naturale della diga di Ridracoli, le parole di Vasco colpiscono per la loro autenticità. Racconto dell’inizio di carriera, riflessioni nella sua mente che risuonano tra le mura e le acque immobili del luogo.
“Retrofronte del palco”
Dal retropalco dello stadio Olimpico di Roma nel Live Kom 2014, la band e le riunioni in camerino, la lettura di scaletta, il buio prima della luce dello show.
“Vascologia”
“Lezione/Laboratorio” intimamente tenuta a Bologna dove Vasco racconta una e più storie legate alla nascita e crescita delle canzoni, incontro-show privo di barriere tra lui e i suoi fans.
“Niente di vero”
Versione “tragi-comica” del rapporto con la stampa e i media.
“Profondo Rossi”
In auto, gli incubi nelle visioni della sagoma.
“Metodo Parazza”
Momento intimo di Vasco, solo con se stesso (ed il regista) allena il fisico e la mente per il nuovo tour, viaggio interiore prima del salto…
“InKurtZioni”
Look e voce del “Colonnello Kurtz” in “Apocalypse Now”, a sessant’anni dal film “Fronte del Porto” e a venticinque anni dal disco “Fronte del Palco”, il Komandante interpreta il monologo interiore del Colonnello Kurtz tra la luce e il buio della coscienza.
“Cartone Animato”
I tre insoliti compagni di viaggio giungono allo stadio di Bari prima del concerto, la Sagoma di Vasco tra i fans, inconsapevoli della sua imminente “trasformazione”, arriva in camerino e…
“Essere Vasco”
Il concerto come non lo avete mai visto.
“Il Decalogo di Vasco” ritratto inedito e minimalista di Vasco Rossi, nasconde nel capitolo finale il video del brano “Quante volte”, nuovo singolo in radio da venerdì 11 settembre.
Il film è godibile come un concerto, non a caso la canzone voluta per i titoli di coda è Albachiara, quella che chiude tutti i concerti, (nessuno si muove finché non la canta…). Qui però nella versione “classica”, arrangiata dal M.ro Celso Valli per l’album “L’altra metà del cielo” ( il balletto su musiche di Vasco messo in scena dal Teatro alla Scala di Milano, 2012). Dallo stesso album è tratta tutta la colonna sonora del Decalogo, una precisa scelta stilistica di Fabio Masi a sottolineare ogni momento esaltandone le più svariate emozioni, da quelle malinconiche a quelle più forti o ironicamente drammatiche.
Prodotto da Blob/ RaiTre il Decalogo di Vasco andrà in onda su RaiTre il 20 settembre.
“Volevo fare il cantante. Ho iniziato a suonare il piano a sei anni per poter un giorno accompagnare la mia voce. Oggi invece è la mia voce ad accompagnare il pianoforte”. Con queste parole Stefano Bollani introduce “Arrivano gli alieni”, il terzo disco in solo dopo “Smat smat” (2003) e “Piano solo (2007), in uscita venerdì 11 settembre, per Universal Music. Realizzato in completa autonomia al pianoforte e al fender Rhodes e composto da 15 brani molto variegati, questo album racchiude quella che è l’essenza di Stefano Bollani oggi: libero, coraggioso, disinvolto, ironico e genuino. Spaziando dagli evergreen “Quando quando quando”, Jurame”, “Aquarela Do Brasil” agli inediti assoluti “Microchip”, “Un viaggio” e la titletrack “Arrivano gli Alieni”, Bollani mette subito le cose in chiaro: non ci sono preconcetti. Ed è così che l’artista si cimenta per la prima volta come cantante, autore di testi e musiche. “Gli alieni quando passano di qua mica prendon le abitudini di quaggiù, mica fanno scambio case house exchange, mica utilizzano car sharing o internet. Solitamente ci oltrepassano, non li guardi e non ti guardano e stanno a controllare se il pianeta è in asse con il blu, è in tono con il verde, è pieno di caucciù, e se la sua energia è annoverabile tra i più”, canta Bollani, concentrando l’attenzione su temi importanti, senza mai abbandonare una sottile leggerezza di sottofondo.
Ecco quello che l’artista ci ha raccontato durante la presentazione dell’album.
Come hai selezionato le canzoni che hai inserito nell’album e da quanto tempo le avevi in testa?
In realtà da poco tempo, in un primo momento ho pensato a chi avrebbe potuto cantarle ma nessuno mi sembrava adatto; alla fine ho deciso di cantarle io stesso. Gli inediti sono nati di getto, ne avevo solo tre ma non volevo aspettare che ne arrivassero altri otto per fare un album intero. Quando ho un’idea mi piace lanciarla subito e così è successo.
Come motiveresti i richiami a Carosone in “Microchip” e a Bruno Martino in “Arrivano gli Alieni”?
Sinceramente è un caso ma il parallelo ci sta tutto. Sono due autori che fanno parte del mio background.
Quali sono i tuoi autori preferiti?
I Beatles, anche se musicalmente siamo lontanissimi, e molti brasiliani, su tutti cito Jobim e Chico Buarque. Tra gli italiani potrei usare molti nomi scontati come Jannacci, Gaber, De André ma sento vicine anche alcune canzoni di Capossela e Silvestri. Ecco, io mi innamoro delle singole canzoni non delle intere discografie. A questo aggiungo di non essere preparato sugli autori più recenti, quelli che non hanno cognome.
Chi sono gli alieni di cui parli?
L’alieno può essere usato come metafora, è quello che ci può salvare provenendo dall’esterno, qualcuno che è estraneo da noi e che guardando la nostra situazione ci viene a salvare. Mi immagino alieni che passano sulla terra di tanto in tanto per controllare cosa stiamo facendo e se abbiamo imparato a rispettare la natura, cosa che purtroppo non accade tanto spesso.
In una tua vecchia intervista hai detto che da bambinovolevi diventare come Celentano…
Era il mio sogno quando avevo sette anni. Lo imitavo allo specchio, sapevo a memoria tutte le sue canzoni, lo ammiravo perché era in grado di fare qualsiasi cosa, cantare, scrivere, stare sul palco, recitare, fare teatro e programmi tv. In effetti è quello che ho cercato di fare nella vita.
Quanto è stato difficile scrivere ?
All’origine del progetto c’è il desiderio di raccontare qualcosa di personale per cui, o scrivevo un libro o cantavo le mie canzoni, ho optato per la seconda opzione. Mi ha stupito la facilità con la quale scrivevo: ammetto che avevo solo me stesso a giudicare e io sono molto indulgente. In tutto.
Quanto ti rispecchi in questo album?
Di solito mi rispecchio sempre nell’ultima cosa che ho fatto. Sono grato alla Universal per aver stampato subito il disco, ci sono ancora parecchio dentro.
Hai mai avuto problemi con i cosiddetti “puristi”?
Il contrario di puro è sporco e, dato questo presupposto, rifuggo fortemente da questa contrapposizione. Quello che mi obbliga a stare dentro una struttura mi mette in difficoltà.
Come mai l’utilizzo del Fender?
L’ho riscoperto negli ultimi anni, soprattutto quando ero in tour con Irene Grandi. Mi sono divertito a suonarlo perché permette di creare sfumature diverse , è uno strumento vivo sotto le dita, mi mette a disposizione una notevole tavolozza di colori.
Nella canzone gli alieni danno un comandamento, quale?
Non lo dico, ognuno deve elaborarsi il proprio.
Come è nato il brano Microchip?
Negli Stati Uniti è possibile acquistare online dei microchip e darli ai propri figli così che possano sempre esser controllati. Questa cosa l’ho trovata a dir poco raggelante e lo dico dal punto di vista di un genitore. È pericoloso far passare che possa essere utile l’idea di un mondo di persone controllate, penso che siano molto meglio le differenze e che il mondo in realtà sia solo pieno di paura.
A cosa ti sei ispirato per un’interpretazione del napoletano così simile all’originale?
Mi sono ricordato di una scena che ho visto di recente ad Ischia, c’era una signora che si comportava in modo da tenere tutta la famiglia sotto controllo senza muovere un muscolo. Tirerei in ballo la cosiddetta “socialità ricorsiva”, un modus operandi molto diffuso in certi contesti e che si sposa perfettamente con il mood di “Microchip”.
Quanto hai modificato le cover che sono nell’album?
Tantissimo. Sono partito dal ricordo che avevo di quelle canzoni, dalla loro ossatura e ho trasfigurato il tutto
Parteciperesti al Festival di Sanremo?
Rifuggo l’idea di gara, potrei andarci però come ospite super pagato (ride, ndr)
Quali saranno i tuoi prossimi passi?
Non c’è nessun progetto di classica all’orizzonte, anche se mi piacerebbe tirare l’orchestra dalla mia parte. Ho un tour in arrivo e la trasmissione su Raitre, anche se per il momento è tutto un work in progress. Suonerò live per il MiTo il 15 settembre all’Auditorium “Giovanni Agnelli” di Torino, in particolare eseguirò la “Rapsodia in Blu” di Gershwin con l’Orchestra Haydn di Bolzano mentre il 16 settembre sarò agli Arcimboldi di Milano per presentare per la prima volta in assoluto “Arrivano gli alieni”.
Cosa pensi dell’evento “Il jazz italiano per l’’Aquila”?
Non c’ero ma non so se sarei andato; tra l’altro ero anche impegnato per un altro concerto. So che c’era tantissima gente e che è stato un grande evento però non ho ben capito quale fosse il senso ultimo. In pratica il governo ha organizzato una cosa per ricordare che il governo doveva fare qualcosa che non ha fatto.
Che rapporto hai con la sua etichetta discografica?
Non abbiamo nessun contratto di esclusiva, di volta in volta rinnoviamo la nostra sintonia. Cambiano gli interlocutori in base ai progetti.
Tornerai anche a recitare?
A marzo sarò nel cast de “La Regina Dada” e gireremo i teatri. Siamo in fase di riscrittura. In passato avevo partecipato al drammatico provino del film “ E la chiamano estate”, fui chiamato dallo stesso regista e per questo convinto che alla fine sarei stato preso; alla fine il provino mi ha provato a tal punto che, quando mi hanno scartato, ho tirato un sospiro di sollievo.
Metti una sera ai Mercati Generali di Milano all’Estathè Market Sound per un concerto unico nel suo genere. Stiamo parlando di Mito Urban Orchestra, un’inedita formula concertistica che ha celebrato il connubio tra l’ Orchestra Milano Classica, diretta dal maestro Michele Fredrigotti e quattro esponenti del rap italiano come Coez, Ghemon, Ensi e Clementino. L’evento, nato da una marcata linea sperimentale, prosegue un percorso davvero fitto di novità in termini di programmazione. Artisti, organizzatori e pubblico si sono ritrovati in mezzo a due mondi, sulla carta opposti, meravigliandosi di un risultato godibile e leggero. Ad inaugurare la particolare serata è stata l’insolita performance di Mudimbi, perfetto nel suo ruolo da apripista, a metà strada da entertainer e uomo da club. Subito dopo è subentrato Ghemon a tenere le redini del concerto con alcuni brani principalmente tratti dal fortunato album “Orchidee”. La grande carica di Clementino lo ha eletto a mattatore della serata: “Cos cos cos”, “Luna”, “ O’Vient”, “Strade superstar” sono le canzoni con cui il rapper partenopeo ha divertito e coinvolto gli spettatori ricordando che “una risata ci ha sempre salvato”. A chiudere l’intensa scaletta è Ensi, protagonista di un’esibizione carica e grintosa. La poliedricità e l’apertura delle prospettive future racchiudono la chiave interpretativa più idonea per comprendere fino in fondo l’utilità della contaminazione e del rispetto reciproco tra realtà musicali contraddistinte da differenti connotazioni.
L’attesa per X Factor 2015 si fa vibrante. Con la conferenza stampa di presentazione, sono emerse tutte le novità del programma più amato dal pubblico. Anno dopo anno, X Factor cresce e convince e, a tal proposito, i numeri parlano chiaro: nel 2014 lo show di Sky ha raccolto 1,2 milioni di spettatori medi a puntata (+ 45% rispetto alla precedente edizione). Due i milioni di persone che hanno seguito la finalissima che ha decretato la vittoria di Lorenzo Fragola (share dell’8%). Numeri stellari anche sui social: i tweet dedicati a X Factor 2014 sono stati ben 2,4 milioni, tangibile testimonianza non solo della forte affiliazione del pubblico ma anche della cura maniacale di ogni minimo dettaglio da parte della produzione del programma. Caratterizzato da un’interattività capillare e da una forte vocazione internazionale, il talent show riparte dalla novità più importante: la giuria dei giudici sarà composta per la prima volta da quattro musicisti, persone che vivono di musica e che la conoscono a fondo: Elio, Fedez, Mika e Skin saranno i mattatori di un’edizione che raggiunge una nuova completezza grazie all’inserimento delle band musicali. Dopo una meticolosa ricerca e migliaia di casting, X Factor 9 partirà proprio dalle audizioni, aggiungendo una puntata in più, con l’intento di coinvolgere il pubblico in un colorato viaggio tra volti, storie e sogni. Per il quinto anno consecutivo sarà Alessandro Cattelan a svolgere il ruolo di Virgilio all’interno del programma: “Di anno in anno i concorrenti sono sempre più consapevoli, più preparati, più pronti. Quest’anno si respira un bel clima e per quanto mi riguarda non vedo l’ora di ripartire. Luca Tommassini mi ha cercato lo giugno scorso per farmi proposte sempre più spettacolari ma, per ora, non l’ho ancora sentito e dunque non so se ci ha ripensato oppure mi farà una sorpresa”.
La new entry più attesa è sicuramente Skin, la celebre pantera del punk, inimitabile voce degli Skunk Anansie: “Trovo molto interessante trovarmi in una situazione come questa. Conosco molto di musica anche se ho ancora parecchie difficoltà con l’italiano. Ho molto rispetto per tutti i miei compagni di giuria, io sono più underground per cui abbiamo diversi punti di vista, in ogni caso mi piace il fatto che siamo tutti musicisti. Per me l’X Factor è qualcosa di speciale, di insolito, di unico. Il fatto che quest’anno ci saranno anche le band rappresenta una importante opportunità per poter intraprendere un percorso serio. Questo programma offre per pochi mesi tutto quello di cui un artista normalmente necessita, sarà importante riuscire ad ascoltare, imparare e mettere in pratica tutto nel miglior modo possibile”.
Un’altra garanzia di divertimento sarà la presenza di Elio: “Sono tornato per una serie di ragioni: In primis per il fatto che ci saranno i complessi, mi piace dirlo in italiano e non inglese, anche perché io faccio parte di uno che non si scioglie (ribadendo il concetto a più riprese). Sono abituato a vivere, suonare, lavorare con altra gente e a questo aggiungo che i gruppi di sole voci mi lasciavano la sensazione che mancasse qualcosa. Poi c’è Skin, la mia cantante preferita in assoluto. In giuria c’è una atmosfera leggera, che sa quasi di scampagnata e mi piace questo clima. Infine l’ edizione italiana di X Factor viene vista altrove come un centro sperimentale, questo mi fa sentire al centro di un laboratorio dove si offre qualcosa di nuovo”.
Oggetto di entusiastico clamore anche Mika, sempre più amato dal pubblico italiano per la sua spiccata sensibilità: “Ho iniziato con la stessa paura che ora ha Skin nella pancia. Sono passato attraverso una serie di emozioni contrastanti ma, piano piano, ho preso sempre più confidenza con la lingua e ho potuto esprimermi. Tra noi quattro c’è una bella sintonia: possiamo divertirci, essere stupidi senza pregiudizi, litigare, parlare di musica e politica. A parte ciò, tra un pò partirà la gara vera e propria e si questo si percepisce in maniera forte e chiara: X Factor senza gara non sarebbe la stessa cosa. Per vincere occorrono incoscienza e freschezza”. Mika è sicuramente il più diretto tra i 4 giudici: “Noi giudici litighiamo su tutto, dalla musica alla pasta alla politica, ma in totale amicizia. Se mi chiedete se questo clima è frutto dell’assenza di Morgan vi dico che eravamo sereni anche con lui. Magari adesso è più serena la produzione”, dice con schietta ironia. Un passaggio dedicato anche a Lorenzo Fragola, vincitore dell’ultima edizione: “Recentemente Lorenzo Fragola è venuto al mio concerto di Taormina e siamo stati insieme a chiacchierare fino alle prime luci del m attino, è rimasto sempre lo stesso ma ha ansia e mancanza di pazienza, entrambe cose essenziali per crescere. La sua testa non si è gonfiata ma le ambizioni sì e questo è ciò che serve”.
Particolarmente carico anche Fedez: “Mi sento meglio rispetto allo scorso anno, la mia prima apparizione non me la sono goduta, vivevo X Factor solo come un lavoro, ora mi diverto di più e comincio anche a conoscere Mika, siamo usciti insieme, abbiamo fatto musica insieme e tutto questo ha contribuito ha rendermi più sereno. Allo stesso tempo, però, la figura del rapper non è ancora stata ben metabolizzata dal pubblico, si guarda più al canto che alla stesura dei testi. A questo aggiungo che c’è ancora una reticenza ad apparire in un contesto televisivo da parte dei rapper”.
Tutto e pronto, dunque, l’appuntamento è per domani 10 settembre su Sky con le attesissime ed esilaranti audizioni, quest’anno commentate dall’amata Mara Maionchi con il suo “Mara dixit” e con “Extra Factor”, poi si partirà con i live in diretta da Milano il prossimo 22 ottobre.
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