No place in Heaven, Mika presenta il nuovo album di inediti. L’intervista e la recensione del disco

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“No Place in Heaven”, il nuovo lavoro discografico di Mika  è un album artigianale e leggero al contempo (Virgin/Emi per Universal Music). Le  melodie dolci e sinuose si sposano con sonorità che riecheggiano di pop vintage ma che non dimenticano la chanson  d’amour.  La dolcezza pungente e la disarmante onestà con cui Mika ha cesellato le  17 tracce (nella versione deluxe) che compongono il suo quarto album sono il risultato di due anni intensi di lavoro creativo, in collaborazione con Gregg Wells. Registrato a Los Angeles, prima in uno studio con accanto Pharrell Williams, poi in una grande casa degli anni ‘50 dove Mika si è rinchiuso per qualche mese, “No Place in Heaven” elenca il pantheon del cantautore anglo-libanese che, se da un lato abbandona il ben noto falsetto, dall’altro mischia colori, suoni,e sentimenti contrastanti  e lo fa attraverso un sottotesto ispirato agli anni ’70, il primo Elton John, il primo Billy Joel, Carole King e il Laurel Canyon. Il basso pulsante e ritmico di “Talk about you” introduce il cantato dolce ed ovattato di “Good guys” in cui Mika cita i suoi punti di riferimento, a seguire la dance bohemienne di “L’amour Fait ce qui’il veut” . Intensamente intimo ed incredibilmente trasparente “All she wants”, il brano in cui l’artista mette a nudo i pensieri reconditi ed il rapporto con sua madre. Tra brani ritmati e ballate malinconiche “Hurts”, “Last party”, Les baisers perdus”, “No place in heaven” è la preghiera senza filtri in cui Mika si apre al mondo con una deliziosa delicatezza: “For ever love I had to hide and every tear I ever cried. J’m down on my knees, I’m begging you please cos there’s no heaven for someone like me”. Suadente e calda la melodia di “Boum boum boum”, corale e coinvolgente il ritmo di “Oh girl, you’re the devil”, disincantato ed estroso il country pop di “Rio”. Questo nuovo album è, in sintesi, una sorta di definitiva liberazione per Mika. Una libertà che gli è servita per affrontare temi importanti nel disco come la sessualità, la paura di come gestirla e l’amore.  Ecco cosa ci ha raccontato l’artista in occasione dell’incontro con la stampa a Milano, prima delle prove del concerto sold-out al Fabrique.

Mika, come sei arrivato a “No place in Heaven”?

Volevo liberarmi da tante paure. Ogni cd ha rappresentato un passaggio importante nel mio percorso. L’ultimo, “The Origin of Love, è stato un punto di rottura, ha segnato un solco che mi ha permesso di cambiare e ripartire da zero e lavorare in totale libertà. Così è stato anche  in questo disco, attraverso queste canzoni sono andato dritto al punto, senza giri di parole o metafore. Insomma, non mi nascondo più.

Perché hai scelto questo titolo?

Il titolo non rappresenta una frase triste, al contrario, è gioiosa. Se troverò posto in paradiso, bene, altrimenti non c’è problema, io non voglio andarci a tutti i costi. Questa affermazione in realtà va contro la cultura orientale con cui sono cresciuto. La parte libanese che c’è in me include una buona dose di paranoia nell’affrontare le faccende personali, solitamente considerate volgari. Ora che sono riuscito ad abbattere il muro, esco finalmente  dal guscio. Adesso ho capito che la vera vergogna è tenerle dentro certe cose. Anni fa parlavo di niente, tenevo tutto a distanza. Ora è il momento del coming out dell’anima. Per di più il momento in cui un disco viene pubblicato è quello in cui una cosa personale e intima, che finora è stata mia, diventa di tutti.

All She Wants” è un testo autobiografico?

Certo, la madre che sogna per il figlio una moglie, un buon lavoro e una posizione sociale, come nella tradizione più classica, è proprio la mia. Invece, altro che casa e nipoti: mia mamma si ritrova a organizzarmi il guardaroba per gli show. Si è trasformata in una zingara senza accorgersene! (ride, ndr)

Tante tracce in francese ma nessuna in italiano…

Ci ho provato ma i tentativi sono stati tutti bocciati: la pronuncia è troppo difficile! Il francese lo parlo da una vita e, a dire il vero, mi ha aperto le porte all’italiano. Senza il francese non avrei mai potuto imparare questa lingua così velocemente.

Tra le canzoni spicca “Good Guys” in cui citI artisti e intellettuali come Andy Warhol, James Dean, Arthur Rimbaud, Walt Whitman, Ralph Waldo Emerson, Rufus Wainwright. In che cosa ti hanno delle personalità così diverse tra loro?
Erano tutti profondamente controcorrente. Anzi, hanno cambiato la direzione del vento, avevano una spinta culturale ed emozionale quasi punk.

Aggiungeresti qualche italiano?
Senza dubbio, Dario Fo. Poi c’è Morgan, quando è di buon umore, quando non lo è, lo toglierei (ride ndr).

È vero che farai un disco con Morgan?

Siamo stati in studio assieme durante il periodo di X Factor. In quel contesto ho visto un ragazzino che, lontano dalle pressioni dei media, giocava con gli strumenti con gioia pura. Qualcosa con lui mi piacerebbe farla, prima o poi accadrà. Intanto ha preso una canzone che ho scritto con Guy Chambers, l’ha sistemata e l’ha trasformata in “Andiamo a Londra” (la prima nuova canzone dei Bluvertigo).

Ti occupi di tante cose per poter fare quello che desideri in musica. Questo discorso vale anche per il libro che stai scrivendo per Rizzoli?
Io sono prima di tutto un musicista, quasi tutto il resto lo faccio per potere fare il disco che voglio io, senza vincoli. Il libro sarà un diario intimo, divertente e duro. In un capitolo parlo della mitologia siriana di mio nonno, in quello dopo della mia frustrazione in un supermarket…

Mika

Mika

Cosa ti piace del nostro Paese e cosa no?
Da evitare le spiagge perché ovunque ci sono teleobiettivi pronti a riprenderti e gli aeroporti sono veramente pessimi. Amo invece il Piemonte, con le sue colline verdi e misteriose e la sua gente che si nasconde un po’ per poi rivelarsi cordiale. E poi c’è il vino, non solo quello piemontese.

Cosa ci anticipi del tour?

La copertina del cd dà un’idea del progetto: mi sono ispirato al Futurismo italiano. Sarà uno show fatto a mano, nel senso che non ci saranno effetti speciali; nessun ledwall, per intenderci. Mi piace sempre creare con la fantasia ma attraverso oggetti reali, che recupero dalla strada. Insieme al mio team sto realizzando i disegni, adopereremo la carta. Anche la mia musica è fantasiosa, spesso si tratta di un modo tutto mio per reagire al dolore. A questo proposito, ho scritto “Relax” a Londra quando ci hanno fatto evacuare dalla metropolitana per gli attacchi terroristici; sono andato a casa e ci ho scritto una dance song!

Raffaella Sbrescia

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Le date del tour italiano

23 luglio – Taormina (Teatro Antico)

25 luglio – Cattolica (Arena della Regina)

27 settembre Assago (Mediolanum Forum)

29 settembre Roma (Palalottomatica)

30 settembre Firenze ( Mandela Forum)

Brianza Rock Festival: il travolgente fascino elettrico dei Subsonica

Subsonica @ Brianza Rock Festival Ph Francesco Prandoni

Subsonica @ Brianza Rock Festival Ph Francesco Prandoni

Lacrime, sudore, goduria mentale e fatica fisica. Il Brianza Rock Festival supera le aspettative con una seconda serata all’insegna della musica di qualità. Si comincia con la voce posata e ben calibrata di Jack Caselli, si continua con l’irriverente genialità di Bugo, finalmente sulle scene dopo una lunga assenza. Un primo concerto per il cantautore che, in occasione dell’uscita del nuovo singolo “Cosa ne pensi Sergio” ha divertito, coinvolto e sorpreso moltissimi dei presenti all’Autodromo Nazionale di Monza. Una performance calda, istrionica, a tratti surreale, l’atmosfera perfetta per introdurre i protagonisti del giorno: i Subsonica.

Dopo 18 anni di attività, la band torinese rappresenta una garanzia di qualità eccelsa, divertimento ed emozione autentica. La naturale evoluzione dei  loro suoni e dei loro contenuti non hanno fatto altro che arricchire e variegare un repertorio  completo da ogni punto di vista. La teatralità del gruppo,  già di per sé fortemente scenico, trova nell’imponente impianto di luci e casse un ulteriore elemento di spettacolarità che potenzia esponenzialmente uno show pensato per proiettare il pubblico al centro di una dimensione bombardata da continui stimoli sensoriali. Per la prima data della sessione estiva de “Una nave in una foresta tour”, i Subsonica scelgono una scaletta che pesca a piene mani all’interno un forziere di canzoni entrate ormai a far parte della collettività.

Subsonica @ Brianza Rock Festival Ph Francesco Prandoni

Subsonica @ Brianza Rock Festival Ph Francesco Prandoni

Si parte, a sorpresa, con “Colpo di pistola” poi la potente scarica elettrica  composta da “Lazzaro”, “Attacca il panico”, “La glaciazione” surriscalda gli animi dei tantissimi che affollano l’Autodromo scatenando il pogo selvaggio. L’adrenalina, il sudore caldo e avvolgente, la fatica dei muscoli che si tendono generano un piacere che inebria i sensi. I pensieri allentano la presa e ogni singola nota prende forma sedimentandosi a proprio piacimento. Sulle note dell’eterna “Discolabirinto” Morgan entra in scena, come promesso, per un esilarante duetto condito da abbracci e sguardi di fraterna amicizia e complicità. Diciotto anni di palcoscenico sono tanti ma i Subsonica non ne risentono, il calore del pubblico è la linfa che racchiude il nutrimento necessario per degli artisti che, interessandosi a mille altre attività artistiche, riescono a rimpinguare di continuo la propria miscela musicale sempre unica e ancora sorprendente.

La conferma di quanto detto sta nella disinvoltura con cui i Subsonica passano dal pacchetto composto da “Nuvole rapide”, “Nuova ossessione”, “L’ultima risposta”, “Up patriots to arms” alle più recenti “Una nave in una foresta”, “I cerchi degli alberi”, “Di domenica”. L’evoluzione traspare attraverso melodie più fluttuanti, a tratti morbide, a tratti più enigmatiche, il flusso sonoro che ne risulta è il frutto di una implacabile ricerca che muove i passi dall’unione di menti affamate di spunti e sperimentazioni. Quello che rimane immutabile nel tempo è la poesia, la sospensione del tempo e dello spazio, la qualità di arrangiamenti strumentali  che godono di vita propria.

Subsonica @ Brianza Rock Festival Ph Francesco Prandoni

Subsonica @ Brianza Rock Festival Ph Francesco Prandoni

Il pubblico è insaziabile e, dopo una breve pausa, i Subsonica tornano sul palco con la bellezza eterea di un brano meraviglioso quale è “Strade”. Intensa e significativa anche “Specchio”, di cui la band ha da poco realizzato un brillante cortometraggio, poi, in successione continua, la sensuale “Veleno”, l’esilarante “Depre”, l’inneggiante “Liberi tutti”, l’apocalittica “Il diluvio”, l’asfittica e dolorosa “L’errore”, la suburbana “Piombo”.  Immancabile l’energia di “Benzina Ogoshi”, lo spunto reggae di “Io sto bene” ed il fluttuante fascino crepuscolare di “Preso blu”. Per concludere in bellezza, i Subsonica eseguono “L’odore”, brano contraddistinto da un testo intimo e sensuale associandovi una versione di “Tutti i miei sbagli” dall’intenso fascino erotico e graffiante. La degna conclusione di una indimenticabile esperienza live.

Raffaella Sbrescia

Photogallery a cura di: Francesco Prandoni

Subsonica @ Brianza Rock Festival Ph Francesco Prandoni

Subsonica @ Brianza Rock Festival Ph Francesco Prandoni

Subsonica @ Brianza Rock Festival Ph Francesco Prandoni

Subsonica @ Brianza Rock Festival Ph Francesco Prandoni

Subsonica @ Brianza Rock Festival Ph Francesco Prandoni

Subsonica @ Brianza Rock Festival Ph Francesco Prandoni

Subsonica @ Brianza Rock Festival Ph Francesco Prandoni

Subsonica @ Brianza Rock Festival Ph Francesco Prandoni

Subsonica @ Brianza Rock Festival Ph Francesco Prandoni

Subsonica @ Brianza Rock Festival Ph Francesco Prandoni

 

 

 

 

Intervista a Conchita Wurst: il debut album “Conchita” e l’autobiografia di una nuova diva

Conchita Wurst cover album Conchita

La tenacia, la sicurezza e l’intraprendenza di Conchita Wurst ( all’anagrafe Tom Neuwirth) rappresentano un importante barlume di speranza per tutti coloro che nel cuore hanno un sogno da realizzare ma anche un fitto percorso ad ostacoli da affrontare. Accolta con clamore dalla stampa italiana, Conchita ha presentato il libro Io Conchita. La mia storia, uscito il 15 maggio per Mondadori Electa e il suo disco di debutto “Conchita”, pubblicato da Sony Music lo scorso 19 maggio, nella Sala Reale della Stazione Centrale di Milano. Un album molto variegato, forse troppo, che spazia dalla dance alle ballate drammatiche senza farsi mancare spruzzate di swing. Un lavoro sicuramente impegnato, ricco di importanti messaggi ma che parla anche di cuori spezzati e storie d’amore dal triste epilogo. Con il suo allure da gran diva, Conchita dimostra di essere in realtà una persona semplice e affabile, nonché un’intensa interprete dalla voce potente e carismatica.

“Conchita” è il tuo album d’esordio. Come hai lavorato a questo progetto così importante per te?

Ho realizzato questo album in modo egoistico, perché volevo che prima di tutto piacesse a me. Ho ricevuto più di 300 canzoni da vagliare e ascoltarle tutte ha richiesto non poco tempo. Non mi importa chi scrive le canzoni, sono molto precisa e quando si tratta di scegliere una canzone da cantare, deve esserci subito almeno una parte di me nel brano, di solito mi colpisce la melodia, poi passo al testo. “The Other Side of Me”, ad esempio, è stata scritta da un autore svedese, Erik Anjou, a cui l’ispirazione è venuta guardandomi sul palco dell’Eurovision. Questa canzone per me è speciale perché Eric è rimasto così ispirato da mandarmi la canzone, senza pensare ad altro.  Più in generale sono felice che il disco sia così colorato e sfaccettato, ‘Conchita’ abbraccia tutti i miei generi musicali preferiti e per questo spazia dalle ballate drammatiche ai brani dance.

Quando hai capito di voler fare musica nella vita?
A 7 anni giocavo a fare la cantante e sognavo di essere famosa, perché – credetemi – essere famosi è divertente. Sono sempre stata molto determinata nel perseguire i miei scopi e, dato che il mio sogno è vincere un Grammy, non ci sono scuse, quando si ha un obiettivo bisogna lottare per raggiungerlo!

E che cosa cantavi a 7 anni?
Shirley Bassey era il mio punto di riferimento. Non conoscevo la lingua l’inglese ma in una compilation di mia madre c’era “Goldfinger “, un brano che cantavo in continuazione cercando di imitare la voce di Shirley che mi ha inconsapevolmente dato lezioni di canto.

A cosa attribuisci il tuo successo? Non hai paura che il clamore creatosi intorno al tuo personaggio possa presto esaurirsi?

 La cosa più importante per me è essere autentici. Ho creato questo personaggio e porto sul palco una mia verità. Sono a mio agio, mi diverto, sono la persona che avrei sempre voluto essere. All’Eurovision ci sono stati diversi fattori che mi hanno aiutato: la canzone, la performance, certamente anche il look, ma soprattutto persone che hanno creduto in me. La scelta che ho fatto è di essere felice nella vita, quindi so che se anche tutto questo dovesse finire troverei ugualmente il modo di esserlo.

Conchita Wurst Ph Mischa Nawrata

Conchita Wurst Ph Mischa Nawrata

Oltre al disco è uscita anche una biografia. Com’è nata l’idea di raccontare la tua storia in un libro?
Dopo la mia vittoria all’Eurovision un editore mi ha fatto questa proposta ma all’inizio ero del tutto contraria! Ho 26 anni, mi sembra un po’ prematuro scrivere le mie memorie. In seguito mi hanno chiesto di ripensarci e mi sono detta: “Se proprio devo farlo allora deve essere il genere di libro che comprerei”. A me piacciono quelli con molte foto e, proprio per questa ragione, in questa biografia ce ne sono tante. In quattro giorni ho raccontato la mia vita ad un ghostwriter  ed ho avuto la possibilità di  scoprire e riscoprire tante cose di me.

Che rapporto c’è tra Tom e Conchita? Che cosa hanno imparato l’uno dall’altra?
Conchita ha imparato da Tom a essere più rilassata e orgogliosa di quel che fa, mentre Tom ha imparato da Conchita a lavorare sodo per riuscire nella vita ed avere successo.

Cosa faresti se avessi modo di incontrare Putin?
Vorrei incontrare Putin per capire cosa vuol dire essere Putin. Potrei imparare tanto da lui anche se ha preso decisioni che non mi hanno reso felice. Discutendo con lui vorrei capire i suoi ragionamenti per poi provare a fargli cambiare idea.

 Com’ è Conchita nella vita di tutti i giorni?
Ho una vita privata normale e non mi prendo troppo sul serio. Senza ciglia finte e parrucche non mi riconoscereste. Vado al supermercato, prendo i mezzi pubblici e nessuno sa chi sono.

Quando potremo ascoltarti dal vivo?
Al momento sto promuovendo l’album e il libro in tutto il mondo. In fondo non sono Madonna, perciò non posso aspettarmi un pubblico di migliaia di spettatori ad un mio show, però ho la possibilità di cantare nel corso della promozione. Andrò in Australia, Giappone, Stati Uniti e poi farò qualche concerto: non sarà un vero e proprio Conchita Tour, però un giorno ci sarà!

 Raffaella Sbrescia

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Video: You are Unstoppable

Brianza Rock Festival: il dinamismo carnale dei Bluvertigo è ancora una certezza

 

 

Bluvertigo @ Brianza Rock Festival 2015

Bluvertigo @ Brianza Rock Festival 2015

Il Brianza Rock Festival apre i battenti con una serata brulicante di note importanti nonostante gli scrosci d’acqua.  Ad inaugurare la nuova edizione dell’attesa manifestazione brianzola sono i Mataleòn, tra i vincitori del concorso Rockin’the school , che hanno approfittato del palco per girare il nuovo video di “Ozymandias”, tratto dall’ep di esordio (“Prospettiva di un’idea”). Sempre più convincenti i Santa Margaret, freschi della recente pubblicazione del nuovo ep “Il suono analogico cova la sua vendetta vol.2”. Intenso e travolgente il potente set rock-blues di Eugenio Finardi, reduce dall’apprezzatissimo Fibrillante tour. Particolarmente significato il doppio duetto di Eugenio con Morgan, dapprima sulle note di “Extraterrestre” e “Amore diverso” poi su quelle della rara e dolorosa “Scimmia”, incentrata sulla dipendenza da eroina. Una lunga pausa introduce l’atteso live dei Bluvertigo,  che salgono sul palco poco prima delle 23. “Fuori dal tempo” è il brano che riporta Morgan (basso e piano), Andy (tastiere, sax), Livio Magnini (chitarra), Sergio Carnevale (batteria) e i musicisti aggiunti Marco Pancaldi (chitarrista ai tempi di “Acidi e basi”) e Megahertz (basso, tastiere) esattamente dove avrebbero dovuto sempre essere: tutti insieme su un palco.

A  vent’anni dall’esordio, i Bluvertigo mantengono intatto un dinamismo sonoro  sensuale e compatto. La loro performance è caratterizzata da una forte fisicità. Poco importa se la voce di Morgan ondeggia tra alti e bassi, le parole e i suoni completano e riempiono i tratti di canzoni che attraversano la pioggia e gli animi di chi stoicamente ascolta con avida complicità. Bello il tuffo nel passato raccontato da Morgan introducendo L.S.D: “incisi un demo intitolato ‘Note del poeta fingitore’ e suonavamo in cantina io, Andy e Pancaldi”. Sorpresa per l’esecuzione de “Il Dio denaro”,  palpabile emozione per  il duetto con Finardi sulle note della versione riveduta e corretta di “Scimmia”. La set list si chiude con “Andiamo a Londra”, l’inedito presentato il 1° maggio, inizialmente composto da Morgan e Mika, che verrà presumibilmente incluso nel prossimo album dei Bluvertigo mentre i bis “Always crashing in the same car” e “Altre forme di vita” chiudono, infine,  la prima serata del Brianza Rock Festival con invidiabile brillantezza.

 Raffaella Sbrescia

Intervista a Giorgio Moroder: dagli allori degli anni ’80 alle hits del nuovo album “Déjà Vu”

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Eleganza, gusto e raffinatezza contraddistinguono Giorgio Moroder, creatore della disco music e pioniere dell’elettronica. Tornato in auge all’alba delle 75 primavere, grazie alla sua partecipazione in “Random Access Memories” dei Daft Punk con il brano “Giorgio by Moroder”, il dj e producer originario di Ortisei pubblicherà il prossimo 16 giugno  il nuovo attesissimo disco solista “Dèjà vù”, a ben 30 anni di distanza dal suo ultimo lavoro di inediti. Dodici canzoni e una serie di importanti featuring da Sia a Charli XCX, da Mikky Ekko a Kylie Minogue, da Matthew Koma a Britney Spears, da Foxes a Kelis fino a Marlene racchiudono l’essenza di un lavoro che ha richiesto ben due anni di preparazione. In attesa del suo ritorno in Italia per due live djset : il 24 luglio sarà a Roma a Villa Ada, a “Roma incontra il Mondo” e il 25 luglio a Milano, all’Estathé Market Sound, ecco tutto quello che Mr Moroder ci ha raccontato in occasione della presentazione del nuovo album.

Negli anni 70-80 è diventato una star mondiale, oggi  la digital generation impara a conoscerla dopo aver collaborato con i Daft Punk…

I Daft Punk mi chiesero di partecipare al loro progetto nel 2013 ma non avevo idea di quello che avessero in mente, pensavo di andare in studio e creare un brano. Invece no, loro volevano solo che parlassi della mia vita. Non ho più sentito niente per mesi  poi mi hanno fatto sentire il pezzo e mi è piaciuto subito.

Da lì, l’idea di tornare sulla scena musicale?

Normalmente un artista che non lavora più da anni non decide di punto in bianco di pubblicare un disco nuovo. Io non sono un cantante, compongo solo le musiche, devo avere qualcuno che canta sulle mie basi e poi, senza l’aiuto di una casa discografica non sarei riuscito a realizzare niente. Subito dopo il successo del brano con i Daft Punk mi sono arrivate delle offerte e alla fine ho scelto Sony perché ho pensato che avrei potuto fare delle belle canzoni con gli artisti del loro catalogo; è stata una selezione piuttosto complessa, ho impiegato quasi due anni per la realizzazione del disco.

Che cosa stava facendo  prima di quel momento?
Avevo progettato una macchina a 16 cilindri, la Cizeta Moroder (per la casa automobilistica che inizialmente si chiamava proprio così, per un progetto suo e di Claudio Zampolli ndr), una macchina che costava 600mila dollari, di cui io possiedo il prototipo. Giravo molto, giocavo a golf e poi mi dedicavo a qualche progetto speciale come, ad esempio, il pezzo per le Olimpiadi di Pechino, al quale ho dedicato due anni di lavoro.

“Déjà Vu” racchiude un perfetto mix tra pop ed elettronica; com’è stato innestare le sonorità degli anni 70-80 nei giorni nostri?

Per quanto riguarda i suoni è stato facilissimo, ne ho fatti a centinaia negli anni. Il problema si è presentato quando mi sono reso conto di dover realizzare qualcosa di nuovo, magari con un tocco retrò, un po’ come hanno fatto i Daft Punk con “Random Access Memories”. Quindi ho realizzato un album che è una combinazione tra suoni retrò e genere EDM (Electronic Dance Music, come viene chiamata la musica dance nel mondo, ndr.).

Come avere lavorato alle collaborazioni presenti in questo disco (Britney Spears, Sia, Kylie Minogue, Charli XCX)? Avete lavorato in studio assieme?

No, ormai c’è un sistema totalmente nuovo. Sia, per esempio, non l’ho mai incontrata ma spero di farlo prossimamente. Le ho mandato la base, lei ha scritto le parole, ha cantato e mi ha rimandato il tutto. Io poi ho riarrangiato e finito la canzone.

Com’è stata scelta Tom’s Diner per il duetto con Britney?

Britney è venuta a sapere che la Sony voleva farla collaborare con me, e lei mi ha chiesto se volessi fare Tom’s Diner di Suzanne Vega, pezzo che mi è sempre piaciuto. Con lei è stato ancora più complesso perché io ho realizzato la prima base, poi un amico l’ha rielaborata, poi lei l’ha cantata, dopodiché io l’ho ripresa e rivista, l’ho mandata in Germania da due ragazzi bravissimi che l’hanno cambiata un po’ e poi è tornata da me. A quel punto l’ho rielaborata ancora e finalmente l’ho finita con un altro produttore. Insomma è stato un lavoro di sei, sette persone sparse per il mondo.

Invece con Kylie Minogue ha avuto un rapporto più diretto?

Si, ho lavorato alla base con un suo musicista, lei ha lavorato con un’altra cantante a Londra e ci siamo trovati a Los Angeles per finire il pezzo. Una volta lanciato il singolo, sono andato in tour con lei in Australia, è stato bellissimo. Lei è bravissima, gentile, balla e canta. ha proprio il senso della comunicazione con il pubblico.

È vero che sta lavorando a un nuovo progetto con Kylie e Garibay?

Garibay ha realizzato 4 pezzi, belli ma non troppo commerciali. Kylie mi ha chiesto se potessi scrivere qualcosa di sexy in italiano e lo includerà nel progetto. Adesso stiamo pensando di rifare quel pezzo rendendolo più commerciale. Ma è un’idea, non c’è niente di sicuro.

Kelis ricorda la “sua” Donna Summer.
Ha una voce molto rythm & blues: ad ascoltarla a occhi chiusi potrebbe essere lei. Donna era brava, proprio brava. Aveva cantato nel musical “Hair” e dopo aver concluso quell’esperienza, si esibiva in qualche locale dal vivo. Allora io l’ho invitata in studio per delle prove, mi è piaciuta moltissimo e abbiamo inciso subito due pezzi. Poi il successo è arrivato con la famosa “Love To Love You Baby” che è stata la numero uno in assoluto per me e per lei.

Per alcuni dei nuovi brani usciranno dei remix per poterli suonare in discoteca?

Si, due o tre remix di “Right Here, Right Now” sono già usciti. Ne abbiamo in arrivo qualcuno per “Déjà Vu”. Il primo sarà di Benny Benassi, poi uno con un nuovo ragazzo tedesco, Felix Jens e poi uno con Markus Schulz.

Giorgio Moroder (lo scatto è presente nella gallery pubblicata su www.giorgiomoroder.com)

Giorgio Moroder (lo scatto è presente nella gallery pubblicata su www.giorgiomoroder.com)

Molte persone restano ancora sorprese scoprendo che le canzoni delle colonne sonore di film di successo quali “Scarface”, “Top Gun”, “American Gigolo” e “La storia infinita”  le ha composte lei..

Sì, infatti! Ci sono anche persone del mondo musicale mi chiedono ancora se ho fatto io la colonna sonora di “Top Gun”. L’altro giorno, per esempio, abbiamo parlato di “Call Me” (canzone cantata da Blondie e parte della colonna sonora di “American Gigolo”, ndr.) e mi chiedevano esterrefatti se l’avessi realizzata io. Adesso i giovani sono molto più informati di venti o trent’anni fa, ascoltano musica in ogni occasione e con qualsiasi mezzo. Una volta o compravi il disco o ascoltavi le novità alla radio. Ora grazie ai servizi online puoi ascoltare tutto quello che vuoi, quando vuoi.

Giorgio Moroder

Giorgio Moroder

Dei dj/produttori attuali, con chi le piacerebbe collaborare?

Mi piacciono Mark Ronson e Calvin Harris. Mi piace moltissimo Skrillex ma anche Tiesto e David Guetta, sono tutti bravi.

C’è qualche altro artista con cui vorrebbe lavorare?
Lady Gaga mi ha chiesto di comporre qualcosa per il suo album, per ora non siamo riusciti a incontrarci ma appena torno in America vediamo se sarà possibile. Mi piacerebbe lavorare anche con Rihanna, che è una delle migliori secondo me. C’era qualcosa in cantiere con Lana Del Rey, ogni tanto ci sentiamo e ogni volta mi ripete che le piacerebbe lavorare con me…vediamo che succede!

Per molti produttori lei è stato un maestro, ma ora che ha dovuto realizzare un disco nuovo ha preso in prestito qualche tecnica da altri?
Come tecnica elettronica sono al livello degli altri perché uso i loro stessi programmi, come Pro Tools, quello che devo imparare riguarda i suoni: è così difficile trovarne di nuovi se non hai gli ultimissimi sintetizzatori, perciò faccio dei demo con i suoni che ho, poi i miei musicisti trovano i sound più particolari. Quelli che si sentono all’inizio di Right Here, Right Now, ad esempio, sono stati abbastanza difficili da trovare anche per loro. Un mio amico produttore invece, Fernando Garibay, prende dei suoni, li lavora con quelli che ha già, li salva e così li tiene da parte, io invece non ho tempo di farlo ma neanche voglia…

Dopo questo disco che cosa la aspetta?
Sto finendo le musiche per il videogame del film Disney Tron, sto parlando con un regista per un film piuttosto importante, e poi farò un musical sullo stile di Mamma mia con 6 o 7 pezzi miei e 10 o 15 che comporrò ex novo: sarà tutto basato sui DJ e sulla dance music.

Raffaella Sbrescia

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 Video: Déjà vu

Drones, i Muse picchiano duro in un’ opera rock oscura ed affascinante

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“Drones”, il nuovo album dei Muse segna l’atteso ritorno della rock band a tre anni dal sovrastrutturato “The 2nd Law”. L’album è un lavoro diretto , molto più suonato ed incentrato su un concept di grande attualità e fascino. Presentato come un ritorno a suoni più grezzi e rock dagli stessi Matt Bellamy, Chris Wolstenholme e Dominic Howard e prodotto da Robert Mutt Lange,  “Drones” parla dei contrasti tra libertà e oppressione, consapevolezza e alienazione, uomo e macchina.  Nella tensione tra estremi opposti si compie, dunque, la narrazione di un’ opera  intrisa di oscurità. La ‘progressiva disumanizzazione’ del mondo, simbolicamente rappresentata dall’invasione dei droni, è terreno fertile per la poetica dei Muse.

Il frontman Matt Bellamy ha descritto “Drones”  come un album che esplora il viaggio di un essere umano, dal suo abbandono e perdita di speranza, all’indottrinamento del sistema per renderlo un Drone Umano, fino alla finale liberazione dagli oppressori: “Ho iniziato ad interessarmi ai droni – ha raccontato Matt alla stampa – leggendo un libro sul massiccio impiego di queste macchine nelle operazioni di guerra, soprattutto in Afghanistan (Predators -The CIA’s Drone War on al Qaeda Dartmouth del professor Brian Glyn Williams,ndr). Ho appreso che intelligenza artificiale e droni saranno sempre più integrati, così che la decisione di uccidere qualcuno potrà essere presa da un robot e non da un altro essere umano. Mi è sembrata un’interessante metafora del futuro, attorno alla quale far ruotare l’intero concept del disco”. A questo discorso si collegano le caratteristiche strumentali dell’album: un approccio diretto al noise rock, un forte pathos ritmico, schitarrate bollenti e batteria imponente.

“E’ esattamente questo il disco che volevamo fare: non ci interessava mettere insieme un “collage di canzoni” –  ha spiegato Dominic Howard, il 37enne batterista – E’ nato tutto già all’epoca dell’ultimo tour  quando abbiamo realizzato di aver bisogno di tornare a qualcosa di più concettuale e rockeggiante. Questa volta siamo partiti dalla musica, da noi tre in una stanza a suonare e il sound è venuto naturalmente più heavy. ‘Drones’ ci ha riportato alla musica “suonata”. Per questo abbiamo voluto un produttore esterno, volevamo essere concentrati sulla musica, riprenderci i nostri strumenti e tirare fuori da quelli il suono del disco. Oltretutto visto che il tema del disco è una lotta tra umanità e tecnologia, con quest’ultima vista come ‘il male’, aveva ancora più senso realizzare l’album in un modo più ‘umano”. 

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Con una copertina che rimanda a The Wall richiamando alla mente facili riferimenti orwelliani, il racconto di “Drones” inizia con la selvaggia “Dead Inside” proseguendo fino ad “Aftermath” tra sprofondamento psicologico, manipolazioni e rinascita individuale racchiusa tra le parole di “The Handler”: “I don’t want to be used by others. I don’t want to be controlled. I don’t want to be a cold, non-feeling person. I want to actually feel something”. Un discorso alla stampa di JFK (1961) centrato sull’indipendenza e sulla libertà di pensiero porta all’epilogo, dove il senso di inquietudine pare lasciare spazio alla fiducia nell’umanità e nell’amore. A chiudere l’album, e quindi la narrazione, è proprio la titletrack: “My mother, my father, my sister and my brother, my son and my daughter killed by drones”, recitano le liriche del brano che si chiude con una Missa Papae Marcelli, composta da Pierluigi da Palestrina nel 1562 e ‘rivisitata’ dallo stesso Bellamy.

 I tre di Teignmouth porteranno “Drones” in tour già a partire da settembre: “Saremo prima in Asia e Sud America – ha anticipato Bellamy – e verso la fine dall’anno in Nord America. In Italia torneremo (dopo la data del 18 luglio al Rock in Roma festival) all’inizio del 2016 ma niente stadi: questa volta faremo più serate ma in spazi più piccoli, così da avere un maggior controllo sugli effetti speciali e sulle tecnologie – droni compresi – che vogliamo utilizzare”.

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Tracklist:

1. Dead Inside

2. [Drill Sergeant]

3. Psycho

4. Mercy

5. Reapers

6. The Handler

7. [JFK]

8. Defector

9. Revolt

10. Aftermath

11. The Globalist

12. Drones.

Make Music Milan celebra la Festa della Musica con un secret show ed un closing party

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Spinte da una grandissima richiesta (la metà dei concerti è stata fissata nella prima settimana), le iscrizioni a Make Music Milan si sono chiuse il 21 maggio scorso registrando un considerevole aumento rispetto alla già fortunata prima edizione 2014, per un totale di circa 160 performance in 90 luoghi diversi. La prevalenza di nuovi partecipanti dimostra lo straordinario passaparola e la volontà di centinaia di musicisti (milanesi e non solo) di vivere un’esperienza del genere almeno una volta nella vita. Difficile dire quanti saranno i musicisti coinvolti nel complesso, probabilmente oltre il migliaio (ogni singolo slot delle postazioni si sta definendo come un piccolo “evento nell’evento” con decine di persone ad alternarsi e collaborare).

A confermare forza e bontà del festival arriva la partnership di Molinari, grazie al quale Make Music Milan, in collaborazione con il media partner Onstage, vedrà arricchire il suo programma di due eventi particolari: SSSH! (Street Secret Show) cioè la partecipazione a sorpresa in una location prestigiosa di un artista nazionale, che sarà svelato nei prossimi giorni sui social network con una sorta di caccia al tesoro 2.0; e Molinari Make Music Milan Closing Party, un dj-set con un nome della musica elettronica underground internazionale per chiudere questa grande giornata di festa dedicata alla musica condivisa, nella magnifica location del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci”.

Nel 2014 Milano è stata per la prima volta sede di Make Music Milan, ovvero la Festa della Musica nata nel 1982 in Francia e diventata il più grande evento internazionale di musica gratuita, che si festeggia ogni 21 Giugno in oltre 440 città del mondo. Make Music Milan mette a disposizione dei cittadini, dai professionisti agli appassionati senza distinzioni di sorta, strade, piazze, parchi pubblici sparsi in tutte le nove zone cittadine, utilizzando la rete di postazioni individuate dal Comune di Milano. Secondo lo spirito originario della Festa della Musica, ogni musicista è protagonista e organizzatore della propria esibizione, iscrivendosi semplicemente sul sito www.makemusicmilan.it e scegliendo postazione e orario preferiti.

Make Music Milan is powered by Molinari; Energy Partner Valore Solare; Media Partner Radio DEEJAY, Onstage, Leggo e Radio Popolare; Partner Istitut Francaise, Techno Souq, Ricordi Music School, Lucky Music, Navigli Lombardi, Arci, Algomas.

Make Music Milan 2015 fa parte del calendario di Expo in città del Comune di Milano.

Diz Festival: dal 3 al 5 luglio a La Fabbrica del Vapore di Milano

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DIZ è il primo festival pensato da I Distratti, realtà attiva da anni nell’organizzazione di iniziative musicali, e della promozione culturale a MilanoDIZ sarà un festival dall’approccio internazionale, una rassegna centrata sulla qualità musicale del cast, che sarà in grande parte composto da artisti in arrivo da tutto il mondo, ma anche nel modo di porsi e nei servizi che offrirà al pubblico, come lo è già stato al lancio della campagna abbonamenti venduti a scatola chiusa, ottenendo un risultato senza precedenti in Italia. Tre giorni dedicati alla musica, con 30 band da tutto il mondo, più di 35 ore di spettacoli tra live, performance e DJ set, nel cuore della città. La prima edizione di DIZ avrà luogo alla Fabbrica del Vapore, dal 3 al 5 di Luglio 2015, e sarà inserito nel calendario di Expo in città.

Ecco i primi nomi annunciati:

TALISCO, JOE BELLE MAISON TELLIERGIULIANO DOTTORILUCIO CORSI,ILARIA GRAZIANO & FRANCESCO FORNI, OLTRE AI MAMAVEGAS, SYCAMORE AGE e DARGEN D’AMICO sono i nomi che si vanno così ad aggiungere ai già confermati NOVA HEART (CHN) in arrivo direttamente dal GLASTONBURY FESTIVAL, DIMARTINO (IT), MEG (IT), TALISCO (FR), C+C=MAXIGROSS (IT), DANIELE CELONA (IT), LUCA SAPIO & THE DARK SHADOWS (IT), FRANK SENT US (IT), IO?DRAMA (IT) .

DIZ FESTIVAL pensa anche al pubblico. Dopo aver coinvolto nella scelta della line up i 200 che hanno acquistato l’abbonamento a scatola chiusa attraverso il crowdfunding, per il Festival saranno messi a disposizione un parcheggio per biciclette e servizio ciclofficina a cura di Associazione FUCINE VULCANOfood con una particolare selezione di cibi di strada, un’area gioco/relax con sdraio, ombrelloni, biliardini e altri svaghi a cura del MADAMA HOSTEL, associazione nata da sei ragazzi già coinvolti in esperienze di hospitality e associazionismo molto attivi su Milano.

 


Addio a Marco Tamburini, trombettista jazz e non solo

Marco Tamburini

Marco Tamburini

Avrebbe dovuto essere sul palco tra una ventina di giorni ad Ancona al fianco di Jovanotti per il tour “Lorenzo negli stadi 2015”,  come succedeva ormai pressoché regolarmente dal 1997, da quando il sound caldo e lirico della sua tromba aveva arricchito le canzoni del cantautore di colori nuovi e incisivi. Purtroppo il destino ha voluto diversamente: venerdì 29 maggio scorso attorno alle 19,30, Marco Tamburini ha cozzato con la sua moto contro uno scooter, coinvolgendone un secondo in una carambola che gli è costata la vita.

Nato a Cesena 56 anni fa, si era diplomato in tromba al Conservatorio Martini di Bologna nel 1979 e da allora aveva iniziato a frequentare il mondo del jazz, dapprima nostrano e poi internazionale, oltre a collaborare con i maggiori artisti pop di casa nostra – tra gli altri con Raf, Vinicio Capossela, Irene Grandi, Cesare Cremonini, Laura Pausini (e anche George Michael e Grace Jones al Pavarotti International) – e a insegnare – ultimamente era titolare di cattedra al Conservatorio Venezze di Rovigo.

Solista raffinato e persona molto piacevole, Tamburini ha suonato con tutti i migliori jazzisti italiani, da Giorgio Gaslini a Paolo Fresu, da Enrico Rava a Giovanni Tommaso, da Gianni Basso a Franco Cerri, e con una buona dose di grandi jazzisti stranieri: Eddie Henderson, Ben Sidran, Steve Lacy, Jimmy Cobb, Joe Lovano, Steve Coleman…

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A suo nome è titolare di nove album (sono oltre 100 quelli in cui appare come collaboratore) di un jazz lirico e intenso, pieno di mille colori differenti che la sua abilità tecnica e la sua sensibilità espressiva riuscivano a convogliare in un flusso poetico senza urla, senza contraddizioni, senza passi falsi. Dal “The Trumpet in the XX Century” con il pianista Stefano Bollani all’emozionante “Frenico” del 2006, dal debutto nel 1988 di “Jazz Contest” al “Two Days In New York” con una manciata di jazzisti americani pregio, si è sempre mosso in maniera elegante e non convenzionale, sommando imprevedibili trovate armoniche a una fluidità melodica immediatamente accattivante.

In una delle ultime interviste, aveva detto: “Secondo me è sbagliato mettere barriere tra un genere e l’altro. Io credo nella musica e basta. È bella o è brutta, suonata bene o suonata male. Quando la suoni male? Quando non sei sincero. La musica sei tu, è la tua cosa più intima. Quando si suona è come mettersi a nudo.”

Raffaello Carabini

How Big, How Blue, how Beautiful: la consacrazione di Florence + The Machine

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Accordi di piano potenti, melodie accattivanti, un’orchestra di 36 elementi nella title track all’album e una sezione fiati arrangiata da Will Gregory (Goldfrapp) donano alle canzoni di “How big, how blue, how beautiful” , il terzo disco di Florence Welch un carattere vigoroso, potente, travolgente, perfetto per  fare da giusto contrappeso ai testi intrisi di tormentate riflessioni legate ad un forte sentimento d’amore. Pop star a 21 anni, con 2 album internazionali alle sue spalle ed un lunghissimo tour, Florence si riconcilia con la vita normale imparando a prendersi cura di sè con undici canzoni intense e vibranti , drammatiche e  violente e un album potente, selvaggio, libero, virulento.

Prodotto da Markus Dravs (Björk, Arcade Fire, Coldplay) con il contributo di Paul Epworth, Kid Harpoon (vecchio amico e collaboratore di Florence) e John Hill, il terzo disco di Florence + The Machine è contraddistinto da melodie ricche e ben strutturate, grandi canzoni e cavalcate inarrestabili. Il plus ultra dell’intero progetto è un’ imponente sezione fiati : “How Big, How Blue, How Beautiful è stata la prima canzone che ho scritto per questo disco subito dopo la fine del tour – spiega Florence – è iniziato un anno incredibilmente caotico e tutto è finito dentro il disco ma alla fine il feeling di How Big How Blue è quello che stavo cercando. Le trombe alla fine di quella canzone  sono quello che è per me l’amore, un’infinita sessione di fiati che va verso lo spazio e ti porta via con sé, così in alto. Questo è quello che la musica è per me. Vorresti solo che proseguisse per sempre ed è l’emozione più bella”.

Florence Welch

Florence Welch

“How big, how blue, how beautiful” è, dunque, l’album di una donna che fa i conti con le proprie paure per imparare a superarle. Colori forti, metafore e riferimenti mitologici celano una profonda vulnerabilità nei confronti di un uomo perennemente indeciso “What kind of man”, di fronte alla natura che materializza i più reconditi tormenti  “Various storms & saints”. Potrebbe essere il delirio conseguente ad una disillusione d’amore, invece l’album vive di un’inaspettata speranza: “È un disco su come imparare a vivere e ad amare senza fuggire”, ha detto Florence spiegando ciò che distingue queste 11 canzoni (16 nella versione deluxe) dalle storie di evasione dalla realtà contenute in “Ceremonials” . Il brano più bello del disco è “Mother” che parte da un immaginifico tappeto blues per poi evolversi  con una sublime deflagrazione finale; una chiusura esplosiva per un album che ci lascia pienamente  soddisfatti e pronti a ricominciare un viaggio di gaudente redenzione.

Raffaella Sbrescia

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TRACKLIST

Ship to wreck
What kind of man
How big, how blue, how beautiful
Queen of peace
Various storms & saints
Delilah
Long & lost
Caught
Third eye
St Jude
Mother

Video:

 

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