Paolo Di Sabatino
“Trace elements” è il nuovo lavoro discografico del pianista e compositore Paolo Di Sabatino, pubblicato su etichetta Irma Records. In questo elegante e ricercato progetto musicale, l’artista ha racchiuso le suggestioni, le influenze e le impressioni del suo e del nostro presente, raggiungendo un risultato in grado di coniugare classe, qualità e contemporaneità. Tante sono le sorprese e le particolarità che Paolo Di Sabatino ha incluso in “Trace Elements” è questa ampia intervista rappresenta l’occasione per scoprirne qualcuna.
Quali sono le idee, le emozioni e i ritagli di vita vissuta che hai racchiuso nel tuo nuovo disco”Trace elements”?
In questo lavoro ci sono tutte le emozioni che mi accompagnano in questo momento della mia vita, soprattutto quelle legate ai miei splendidi figli Caterina e Luigi, fonte inesauribile di ispirazione, insieme a mia moglie Chiara. Le idee musicali sono a loro volta figlie di quello che vivo quotidianamente, non potrebbe essere altrimenti!
Da dove nasce la scelta di questo titolo?
Da una certezza che ho da sempre, cioè quella che nessuno di noi potrebbe mai fare a meno della musica. Trace Elements sono, in biochimica, i micronutrienti. Ognuno di noi si nutre di musica, dalla nascita! E poi nel titolo c’è un’assonanza col numero 3, come i componenti del gruppo.
Nel tuo lavoro hanno partecipato due eccellenze musicali…stiamo parlando di Peter Erskine, batterista riferimento negli ultimi quarant’anni di jazz, e del bassista Janek Gwizdala, definito “l’astro nascente del basso elettrico a livello mondiale”… Raccontaci come avete instaurato il vostro rapporto di amicizia, in che modo i due artisti hanno preso parte al tuo progetto e cosa ha significato per te questa collaborazione.
Suonare e registrare con Peter è stata una delle soddisfazioni più belle della mia vita. Ci conosciamo da anni, e di tanto in tanto gli ho sempre inviato qualcosa di mio. Un giorno ho ricevuto una sua email di congratulazioni per un mio cd, e da quel momento ho capito che avrei potuto pensare ad un progetto con lui. Io amo suonare con chi dimostra una certa affinità col mio mondo musicale e palesa apprezzamento per le mie composizioni. In effetti lo scorso marzo ho avuto la prova che tra me e Peter c’era la giusta sintonia, e dall’ascolto del CD credo si evinca senza dubbio alcuno. Peter ha dato un grande apporto umano e musicale, ed è stato lui peraltro (conoscendo la mia musica) a presentarmi Janek, ritenendolo perfetto per questo progetto. E ha avuto ragione!
Paolo Di Sabatino
La prima traccia contenuta in “Trace elements” è “Driving blues”, un brano ispirato alla vita on the road di voi artisti…cosa ti regala questo stile di vita e cosa, invece, pensi possa toglierti?
Innanzitutto mi ha regalato l’ispirazione per scrivere dei brani! Anni fa ho anche composto “F.S. Blues”, dedicato ai miei viaggi in treno. Credo di aver raggiunto un sano equilibrio nella gestione del mio stile di vita. Non sono un musicista che suona tutte le sere, non avrei le forze e l’ispirazione per farlo. Quindi le volte che parto, anche se sto fuori un mese, sono bello carico e pieno di energia. Quando torno ho sempre tempo di rilassarmi, recuperare appieno e godermi la casa e la famiglia.
Cosa vorresti che la tua musica comunicasse al pubblico e a quali contesti credi che le tue composizioni si prestino al meglio?
Vorrei sempre comunicare emozioni intense, che si tratti di un brano del mio trio jazz, di una canzone o di una ninna nanna. Sarebbe una tragedia lasciare indifferenza a chi ascolta, è la cosa che mi ferirebbe di più. Metto l’anima in ogni nota che suono e che scrivo sul pentagramma, negli ambiti più disparati, e credo che le melodie che compongo siano adattabili a molti contesti, dallo strumentale jazzistico al cinema. La melodia è sempre il comune denominatore della mia musica e spero sempre di riuscire nell’intento di regalare qualcosa a chi mi ascolta: un sorriso, un pensiero, anche una lacrima, perché no.
In “Trace elements” ci sono anche due standard jazz uno è “Nature Boy” di Eden Ahbez, l’altro è “They Can’t Take That Away from Me” di George Gershwin; come mai hai scelto proprio questi due brani? Sono legati in qualche modo alle altre tracce che compongono l’album?
Nessun legame particolare, se non il fatto che sono delle melodie che amo. Gershwin però è uno dei miei compositori preferiti, e mi vanto pure di essere nato il 26 settembre come lui!
“Time for fun” è un “lusso” che sempre meno persone possono permettersi, l’hai inserito per sottolinearne l’importanza vitale?
Assolutamente si! Oggi si corre a destra e a manca, senza un attimo di respiro. Ovviamente mi riferisco a chi ha la fortuna di avere un lavoro, che sta diventando quello si un lusso, cosa che stride molto in un Paese dove il primo articolo della Costituzione dice che siamo una repubblica fondata sul lavoro. Il privilegiato che lavora però, spesso lo fa perdendo di vista l’essenza della vita, alla ricerca spasmodica di un benessere economico maggiore. Perdendo di vista così il fatto che il benessere reale è quando ti fermi a guardare un tramonto, quando mangi bene e bevi meglio, quando leggi un bel libro o vedi un bel film, quando riesci a dedicare tempo agli amici e alla tua famiglia: “Time for fun”, appunto.
Ci racconteresti com’è nato il neologismo “Ciclito”?
Mio figlio Luigi ha una sorta di triciclo col quale scorrazza per casa. Spesso e volentieri i bimbi storpiano le parole, soprattutto quelle più difficili. Ed ecco nato “Ciclito”! Ho scritto il brano di getto, immaginando Luigi in frenetica attività su suo amato triciclo/ciclito.
Come nasce e come si sviluppa la bonus track “Ce que j’aime de toi”, scritta a quattro mani con Kelly Joyce?
Conosco Kelly da molti anni, ma a parte una jam session, non avevamo mai avuto l’opportunità di collaborare. Ho pensato che questo brano potesse essere giusto per lei, cantato in francese. Gliel’ho inviato e le è piaciuto subito. Così ha scritto il testo e lo abbiamo inciso. C’è anche un bellissimo videoclip su youtube (http://youtu.be/iDoWMvq7fv4)
Hai collaborato con tantissimi artisti, sia italiani che stranieri, come riesci a conciliare, di volta in volta, il tuo stile con quello altrui?
Diciamo che cerco di collaborare con musicisti che sento affini già prima di suonarci insieme. Va fatto invece un discorso diverso per i cantanti. Quando accompagno i cantanti cerco sempre di immedesimarmi nel loro stile e nelle canzoni che cantano, col l’obiettivo di valorizzare musica e testo, senza perdermi in inutili e dannosi virtuosismi che prevaricherebbero l’interpretazione vocale. Il jazz è bellissimo, ma senza controllo può diventare deleterio!
Paolo Di Sabatino Ph Alessandro Pizzarotti
Sei docente di musica d’insieme e coordinatore del dipartimento di jazz presso il Conservatorio Alfredo Casella di L’Aquila… come sono cambiati, negli anni, i metodi di insegnamento e le modalità di apprendimento da parte degli studenti?
Veniamo da una recente riforma che ha trasformato i Conservatori in Istituzioni di Alta Cultura, come le Università. I metodi non sono cambiati, è cambiata la forma. Ora ci sono i corsi pre-accademici, poi la laurea triennale e poi il biennio superiore. Ci sono molte materie complementari che però tolgono, di fatto, tempo prezioso allo studio dello strumento a casa. Secondo me è una riforma zoppa, che in ambito classico ha anche eliminato la possibilità di sostenere esami da privatista. Mia figlia Caterina, ad esempio, studia pianoforte con mio padre, che a causa di questa riforma non potrà portarla a compimento degli studi. Dovremo per forza iscriverla in un Conservatorio o Liceo musicale. Secondo me è un’assurdità. La ciliegina sulla torta è che non ci hanno nemmeno equiparato gli stipendi a quelli dei docenti universitari…
A novembre sarai in tour e ti dividerai tra Russia, Cile ed Argentina… che tipo di concerto offrirai al pubblico e come riesci ad instaurare un feeling empatico con la platea internazionale?
In Russia suonerò col progetto “Inni d’Italia”, con l’amico fisarmonicista Renzo Ruggieri. Abbiamo in repertorio i classici della melodia italiana, da Verdi a Baglioni, si tratta di un progetto che abbiamo già portato in Russia, con grande soddisfazione nostra e del pubblico russo. In Cile ed Argentina invece suonerò col mio trio (con mio fratello Glauco alla batteria e bassisti sudamericani che troveremo nelle città dove ci esibiremo, la cosa rappresenterà una preziosa possibilità di scambio artistico e culturale), quindi la mia musica. Mi esibirò anche al festival jazz di Buenos Aires e devo dire che la cosa mi emoziona al solo pensiero. Sento grande affinità con il Sudamerica, da sempre. Poi in Argentina ci sono tantissimi italiani! Sarà meraviglioso per me, e spero anche per loro, fargli ascoltare le mie melodie.
Raffaella Sbrescia
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Video: “Time for fun”