Intervista a Kìmel: Scrivere è un’esigenza che mi consente di “scavare dentro”

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La cantautrice-chitarrista cremonese Kìmel presenta “Distanti”, un brano autobiografico dalle sonorità pop rock, scritto e arrangiato da lei stessa e che anticipa l’uscita del disco, prevista per l’inizio del prossimo anno. Autrice e compositrice inquieta e particolarmente attenta al dettaglio, Kìmel propone un rock intimista, dal piglio immediato. In questa intervista la giovane artista ci accompagna alla scoperta del suo mondo fatto di note imprevedibili ed appassionate.

Kìmel, sei cantautrice e musicista diplomata in Conservatorio in Chitarra e Pianoforte. Quali caratteristiche di questi due strumenti rispecchiano maggiormente la tua personalità?

Entrambi influenzano notevolmente la mia personalità artistica. La chitarra elettrica rappresenta ‘l’alternativo” ovvero la mia inspirazione rock mentre il pianoforte rappresenta la classicità musicale che mi ha formata e continua ad essere fortemente presente.

In che modo la città di Cremona influenza i tuoi ascolti e i tuoi riferimenti musicali?

Cremona mi ha cresciuta per tutta l’infanzia e l’adolescenza. Ha influenzato i miei studi, ho respirato la sua tradizione musicale, che ho amato e da cui ho attinto molto . Si tratta di un’ impronta dominante.

Il tuo rock è molto personale, teso e viscerale… cosa intendi comunicare attraverso le tue composizioni?

Le mie composizioni raccontano ciò che vivo, ho vissuto e sento. Scrivere è un’esigenza che mi consente di “scavare dentro” … Ancora oggi mi aiuta a conoscermi, ad esplorare ciò che ancora è inesplorato.

Cosa ti dà e cosa ti toglie l’esibizione live?

Il live a mio avviso aggiunge sempre, difficilmente toglie. Personalmente è il mezzo più immediato che conosca per emozionare ed emozionarsi.

“Distanti” è il tuo nuovo singolo, in cui il niente pare essere il protagonista assoluto, è davvero così o c’è dell’altro?

Il “niente” è il vero protagonista del brano. Ho cercato di descrivere la sofferenza che causa l’incomunicabilità, quel sapore amore in cui tutto è vano ed ogni sforzo risulta “contro corrente”.

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La tua voce potente travolge l’ascoltatore con intensità. Nel caso specifico di questa canzone, il tuo canto lascia trasparire una sensazione di drammatica disperazione…Ci racconti da dove nasce questo testo e quali suggestioni intende ispirare nell’animo altrui?

Sono una visionaria, mi avvalgo di immagini quando compongo. In “Distanti” l’immagine del “niente” ha preso il sopravvento. La consapevolezza che tutto è andato perso, è una sofferenza molto più dolorosa del non aver mai avuto nulla. Ho cercato di esprimere la profonda amarezza con il testo mentre ho volutamente discostato l’arrangiamento verso tinte molto più morbide,  “cautamente” solari e serene.  Questo per sottolineare ancora maggiormente quanto sia destabilizzante e in disequilibrio l’immagine contraddittoria del “niente”.

Questo brano anticipa il nuovo album in uscita il prossimo anno… cosa puoi anticiparci di questo lavoro? Come e con chi ci stai lavorando su?

Sarà un album in cui i veri protagonisti saranno i suoni, i silenzi ed il rock. I brani sono arrangiati da me, per cui mi avvalgo della mia collaborazione (ride ndr)

Quali sono le altre tue passioni e gli eventuali progetti paralleli?

Non ho altre passioni che non siano strettamente collegate alla musica, per cui i miei progetti restano totalmente indirizzati ad essa. Avrei un sogno più che un progetto: poter vivere di musica con la musica. Chiedo molto vero??!!

Raffaella Sbrescia

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Intervista a Cucu Diamantes: ” La mia vita tra musica e cinema”

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Cantante e attrice versatile, capace di passare dal pop al rock alle sonorità caraibiche, Cucu Diamantes ha collaborato con grandi nomi del panorama musicale internazionale. Il prossimo 10 ottobre l’artista sarà ospite d’eccezione durante la serata conclusiva della terza edizione di “Scoprir, mostra del cinema iberoamericano di Roma”, organizzata dal Cervantes a cura di Gianfranco Zicatelli e Jose Cantos, per presentare il film di Jorge Perugorría, “Amor crónico”, di cui Cucu è protagonista. Il progetto è, in realtà, un docu-film che segue in tour per tutta Cuba una sgargiante ed eccentrica cantante ed intreccia riprese di spettacoli dal vivo con il racconto di una storia d’amore surreale, mostrando un ritratto unico di un’artista che viaggia alla ricerca delle sue radici.

In questa intervista Cucu ha raccontato se stessa, le sue emozioni e i tanti progetti che vedono coinvolta con ruoli di primo piano.

Che cosa racconta il brano “Amor Crónico” e in che modo si lega alla trama dell’omonimo film di Jorge Perugorrìa che presenterai alla III edizione della mostra del cinema iberoamericano?

Il brano in sè parla di un amore che non vuole finire e che, con il passare del tempo, diventa “cronico” quasi come una malattia. Il titolo del film riprende il tema dell’amore inteso come sentimento rivolto al proprio paese, alla propria cultura, alle proprie radici.

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Come hai lavorato alla realizzazione di questo docu-film e cosa ha significato per te dare voce a questo omaggio alla canzone d’amore cubana?

Questo film è nato dalla mia collaborazione con il regista Jorge Perugorria (aka Pichi) ed è un omaggio rivolto non solo agli immigranti che ritornano alle proprie radici ma anche al cinema d’autore cubano e al neorealismo italiano, fonte d’ispirazione del cinema cubano degli anni ‘60.

Cosa ami in particolare della cultura musicale cubana?

 Adoro il fatto che le sonorità e i ritmi non hanno frontiere.

Tu che sei passata dal pop al rock alle sonorità caraibiche, in quale dimensione sonora ti senti più a tuo agio?

La mia voce è irrimediabilmente molto cubana.  Sono influenzata da tutta la musica in generale e mi sento a mio agio con tutte le sonorità possibili.

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Hai tante prestigiose collaborazioni all’attivo… cosa ti hanno lasciato da un punto di vista artistico?

Una delle persone più aperte e disposta a rompere le regole quando collaboriamo insieme è Carlinhos Brown, la sua allegria e la sua vena creativa mi contagiano sempre tantissimo.

Come avete costruito tu e Andres Levin il collettivo YerbaBuena, uno dei collettivi più influenti del latin fusion di New York, e quali sono i tratti che contraddistinguono la cifra stilistica di questa realtà musicale?

Andres Levin ha portato la sua esperienza come produttore musicale (Tina Turner, Chaka Khan, Aterciopelados, David Byrne, Carlinhos Brown, ecc). Insieme abbiamo individuato sia i cantanti  che i musicisti per comporre la banda. Yerba Buena si è nutrita dall’ecletticismo musicale vivente nell’isola di Manhatan.

Cucu Diamantes in una scena tratta dal film Amor Crònico

Cucu Diamantes in una scena tratta dal film Amor Crónico

Sei stata testimonial per la campagna contro la violenza sulle donne organizzata da Amnesty International, come hai interpretato questo ruolo?

La filantropia è quello che mi fa scendere dalla mia torre d’avorio e che mi arricchisce spiritualmente. Di solito sostengo ogni campagna e movimento di non violenza contro gli esseri umani, non riesco a credere che  nel 2014 nella cosiddetta “società moderna” dobbiamo ancora lottare contro questo tipo di problemi.

Quali saranno i tuoi prossimi impegni in ambito musicale?

Ho appena finito di girare un altro film con la regia di Jorge Perugorria , la cui sceneggiatura è tratta dal racconto “Fatima o el Parque de la Fraternidad” di Miguel Barnet, vincitore del premio Juan Rulfo di letteratura.  Il mio personaggio  è quello di un transessuale della notte “habanera”. Per concludere, sto lavorando al mio nuovo album e sarò entusiasta di farvelo ascoltare molto presto!

Raffaella Sbrescia

Video: Amor crónico

Classifica FIMI: Fedez scalza Fabi-Silvestri-Gazzè e Subsonica

“Pop-Hoolista”, il nuovo album di Fedez.  La recensione

“Pop-Hoolista”, il nuovo album di Fedez. La recensione

Fedez conquista subito la vetta della classifica FIMI/GFK degli album più venduti della settimana in Italia con “Pop-Hoolista”. Al secondo posto troviamo il trio Fabi-Silvestri-Gazzè con “Il padrone della Festa” mentre i Subsonica scendono in terza posizione con “Una nave in una foresta”. Alle loro spalle c’è “Strut” di Lenny Kravitz mentre la prima new entry della settimana è Red Canzian (Pooh) con il nuovo album di inediti intitolato “L’istinto e le stelle”. Sesti i Modà con “Gioia. Non è mai abbastanza” mentre Francesco Renga è settimo con il suo “Tempo reale”. All’ottavo posto scopriamo Leonard Cohen con “Popular Problems” mentre la seconda new entry della settimana è Prince con “Art official Page”. Chiudono la top ten i Club Dogo con “Non siamo più quelli di Mi Fist”.

“Il Grande Abarasse”, la recensione del nuovo album di John De Leo

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“Tutto quello che pensiate significhi, è”. Con queste parole l’innovativo compositore e cantautore italiano John De Leo ha presentato, lo scorso 7 ottobre, “Il Grande Abarasse”, il nuovo ed ambizioso album di inediti giunto a sei anni di distanza dall’ultimo progetto discografico dell’artista, su etichetta Carosello Records. In questo concept album, ambientato in un ipotetico condominio, ogni brano descrive un’esplosione improvvisa, corrispondente ad una deflagrazione interiore la cui miccia era già accesa in ognuno dei condomini. Dotato di una personalità vocale duttile e di un’attitudine sperimentale, John De Leo usa la voce come uno strumento innestandola all’interno di composizioni eterogenee, spaziando dal folk popolare, al jazz, al rock, alla musica contemporanea. Nel suo universo sonoro convivono particolari combinazioni: la sua voce dialoga con un ensemble di archi, con chitarre e una sezione fiati di legni. Originale anche la ricerca del suono: spesso gli strumenti o la voce stessa vengono filtrati, manipolati attraverso strumentazioni analogiche, dispositivi per chitarra, live looping sampler, modificati con distorsori giocattolo.

John De Leo

John De Leo

La ricerca di possibili rapporti tra suono e parola si esprime nei versi dei brani, scritti dallo stesso De Leo: allitterazioni, assonanze, dissonanze sconfinano nel neologismo o nell’onomatopea. Testi immaginifici, spesso ironici, esplorano la sfera umana e gli consentono di  raccogliere l’eredità di artisti come Demetrio Stratos, Cathy Berberian e Leon Thomas. L’originalità della ricerca vocale-musicale di De Leo e l’alchimia con cui egli combina musica, arte e letteratura lo rendono un artista unico e riconoscibile, un vero e proprio uomo-orchestra. Ne “Il  Grande Abarasse” si va dalle divagazioni sonore e pensierose di “Io non ha senso”, alle fusa in chiave jazz de “Il gatto persiano”, alle parole impossibili di “Muto (come un pesce rosso), passando per le unioni e i grovigli di corpi “Di noi uno”, la spettrale malinconia di “Primo moto ventoso”, in cui si cerca di combinare il gusto e le sonorità di due compositori come Nino Rota ed Ennio Morricone o brani come “Apocalissi Mantra Blues”, vicino al gospel eppure dotato di una propria identità.

John De Leo

John De Leo

Canzoni come armi di una battaglia ludica e creativa come “La mazurka del Misantropo”, “è già finita/Il cantante Muto” o “50 euro”, intriso di elettronica,  rendono “Il grande Abarasse” una fonte di nutrimento per menti libere e curiose. Uno dei componimenti più particolari del disco è “The Other Side of a Shadow” . Il brano vede la partecipazione del pianista e compositore Uri Caine  e contiene un interessante testo recitato, tratto da “La linea d’ombra” di Conrad, finalizzato alla creazione di un geniale sottotesto tutto da interpretare. Sono tantissimi i riferimenti musicali, letterari, cinematografici che potremmo individuare in questo disco che è ulteriormente arricchito da un ghost album, realizzato con l’Orchestra Filarmonica del Comunale di Bologna. Si tratta di sei tracce che, pur muovendosi in un territorio neutro, completano il mastodontico lavoro di John De Leo delineando ulteriori linee guida, in grado di stimolare un ascolto mai uguale a se stesso.

Raffaella Sbrescia

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“Un giorno di sole”, il nuovo album di Chiara Galiazzo. La recensione

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Chiara Galiazzo torna alla musica con “Un giorno di sole”, l’album prodotto da Fabrizio Ferraguzzo e distribuito da Sony Music Italy. Per la giovane interprete padovana si tratta di un lavoro importante che potrebbe segnare una svolta all’interno del suo percorso artistico iniziato con la vittoria di X Factor nel 2012. La cura per i dettagli, la rinnovata motivazione ed una nuova consapevolezza attraversano le 11 tracce che la Chiara ha scelto, interiorizzato e racchiuso in questo suo nuovo album. Tanti i sono i nomi che figurano nei credits del disco:Daniele Magro, Dario Faini, Ermal Meta, Pacifico, Virginio Simonelli, Piero Romitelli e Davide Simonetta, Antonio Di Martino artisti coi quali Chiara si è confrontata a lungo alla ricerca di storie ed emozioni da raccontare a se stessa e agli altri. Il risultato di questo lungo e complesso percorso si intravvede nella maggiore spontaneità delle interpretazioni e nell’accurata realizzazione di un sound più vicino al pop inglese, in grado di spaziare dal folk blues al country, fino alla tipica melodia da ballad. Il tratto più interessante di questo lavoro sta nella felice collaborazione tra artisti giovani che, attraverso le loro fresche penne, sono stati in grado di raccontare emozioni, storie e sentimenti in maniera immediata e facilmente fruibile. “Un giorno di sole” non è, dunque, soltanto il titolo del suo nuovo album, bensì la trasfigurazione della nuova fase esistenziale ed  artistica di Chiara.

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Ad anticipare il disco è l’omonimo singolo “Un giorno di sole”, scritto da Daniele Magro. La particolarità di questo brano sta nella forte contrapposizione tra la melodia spensierata ed un testo intriso di sofferenza per la fine di un amore. Propositiva e concreta è, invece, la struttura testuale di “Siamo Adesso”, con musiche scritte dalla stessa Chiara, insieme a Fabio Campedelli ed Emiliano Cecere e con le parole di Pacifico finalizzate alla valorizzazione  di quanto di buono si abbia tra le mani. La delicata poetica di Daniele Magro risplende in tutta la sua lucentezza in “Il rimedio, la vita e la cura”, una ballad intensa e profonda che ha consentito a Chiara di mettersi in gioco con sincera autenticità. Pur muovendosi su un altro binario semantico, “Che valore dai”, scritta da Dario Faini e Antonio Di Martino, è una canzone pensata per far riflettere: “Che valore dai alle promesse fatte, ai pugni, alle ferite, alle cicatrici?”, canta la Galiazzo, spingendo l’ascoltatore in un interessante territorio fatto di pensieri, rimorsi, pentimenti, ripensamenti. L’ incoraggiante messaggio contenuto in “La vita è da vivere”, il brano scritto a quattro mani da Ermal Meta e Antonio Filippelli, racchiude l’essenza di un mantra : “cos’altro possiamo fare se non vivere?”; un messaggio diretto, semplice ed efficace che viene subito incalzato da “ll meglio che puoi dare” con testo di Ermal Meta: “Mi hanno detto che la vita è ciò che accade mentre tu più del viaggio vuoi la meta e non ti accorgi che hai di più”. Parole, queste ultime che hanno il pregio di riuscire a mettere a nudo i nostri pensieri più reconditi. Definita dalla stessa Chiara come la canzone più “chiaresca” dell’album, “Nomade”, scritta da Daniele Magro, definisce con grande efficacia e spensieratezza i tratti di una giovane artista abituata a porsi al pubblico senza filtri. Leggera e ritmata, “Ruba l’amore” introduce la parentesi più romantica del disco. A seguire troviamo “Amore infinito”, scritta da Niccolò Corrienti: “Abbi cura di splendere, ogni giorno sorprendere”, “rendere ogni giorno possibile”, canta Chiara, definendo i tratti di un sentimento forte, trasparente e coinvolgente. “Il  senso di noi” mette in evidenza le fasi di un percorso a due vissuto con grande intensità. La traccia di chiusura è “Qualcosa resta sempre”, nata da un brano in inglese scritto da Virginio Simonelli. Piano e voce riportano l’ascolto in una dimensione onirica ed essenziale, testo e musica rappresentano gli ultimi tasselli di un percorso evolutivo in cui Chiara pare aver raggiunto un grado di maturità artistica che le potrà consentire l’atteso salto di qualità.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Un giorno di sole”

The Ophelia’s Nunnery, la recensione di “Non basta vivere”

Cover CD_Non basta vivere (2)The Ophelia’s Nunnery è una band nata nell’hinterland milanese quattro anni fa. La compagine musicale composta da Matteo Arienti (voce, chitarra), Matteo Zappa (basso, voce), Simone Manzotti (batteria), Dario Azzolini (chitarra) è giunta alla pubblicazione di un primo ep autoprodotto, intitolato “Non basta vivere”, la cui uscita è prevista per il prossimo 7 ottobre. Registrato al Blap Studio di Milano sotto la produzione di Riccardo Carugati e masterizzato da Giovanni Versari, questo primo lavoro del giovane gruppo lombardo intende muoversi a metà strada tra l’indie rock ed il pop d’oltremanica ma, sebbene il sound si avvicini agli intenti dichiarati è il cantato in italiano, in alcuni momenti molto simile a quello di Raf, a tenere gli Ophelia’s Nunnery ancora lontani dall’obiettivo prefissato. Ad aprire l’ascolto è “Martedì”: “Non basta vivere per sentirsi vivo” è la frase che racchiude lo spirito ed il messaggio chiave di questo primo lavoro della band lombarda raccontando un’urgenza ed una impellente necessità di svolta.

The Ophelia’s Nunnery

The Ophelia’s Nunnery

Intensi e curati sono gli intrecci di chitarre proposti sulle note de “Il rumore del passato”, un brano intimo, ispirato al tema dello scorrere del tempo. Il mood malinconico  di “Benedire” è più vicino a tematiche di valenza socio- culturale ed è attraversato da linee melodiche più incalzanti ed aggressive. Le preannunciate atmosfere british si palesano ne “Il pentito” : “Si cade per riparare e rialzarsi, è la più grossa bugia di questo mondo perché quando tocchi il fondo sei solo sulla cima opposta e cerchi una risposta”, canta Matteo Arienti, mettendo a nudo debolezze e pensieri comuni. A chiudere l’Ep è “Solo Mostri”: lacrime di inchiostro danno voce a piccole alienanti ossessioni.  “Non basta vivere” racconta, dunque, le emozioni, i pensieri e le riflessioni di quattro ragazzi che hanno scelto di unire le proprie strade in nome della musica e che, dopo quattro anni di lavoro, sono stati in grado di gettare le prime fondamenta di un percorso che, a giudicare dai presupposti, possiede le carte in regola per farsi strada.

Raffaella Sbrescia

Tosca appassionata e cosmopolita in “Il suono della voce”. La recensione dell’album

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Tiziana Tosca Donati, in arte Tosca, torna in sala di incisione per “Il suono della voce”, l’album di inediti pubblicato lo scorso 30 settembre per Sony Classical. Prodotto dalla stessa Tosca e dalla violoncellista Giovanna Famulari, in collaborazione con la Bubbez Orchestra, questo lavoro racchiude molto più di un pugno di canzoni. Si tratta, infatti, di un’opera pensata, ragionata, nata dal  continuo sedimentarsi di idee, emozioni, sentimenti, pensieri, suggestioni che, nel corso di un lungo trentennio, hanno forgiato l’anima, umana ed artistica di Tosca. Musiche, suoni, lingue, ritmi si fondono nei percorsi creati dalle 22 tracce che compongono l’album nel nome dell’arte. “Il suono della voce” è il suggestivo titolo di questo album che prende il nome dal brano che il maestro Ivano Fossati ha appositamente composto per l’artista romana. Un biglietto da visita seducente, appassionato, dall’essenzialità ricercata.

Con la chiara intenzione di omaggiare la forma canzone utilizzando il maggior numero delle declinazioni possibili, Tosca ci accompagna, mano nella mano tra le tappe di un viaggio finalizzato alla ricerca di noi stessi nelle altre culture. Attraverso l’uso dell’ Yiddish, del portoghese, del francese, del rumeno, del giapponese, del libanese, Tosca rilegge antiche e nuove melodie con grazia e leggerezza conferendo loro un’innata bellezza, avulsa dallo scorrere del tempo. La cura per il dettaglio, la valorizzazione di ogni singolo strumento si evince dagli spazi e dalla scelta di musicisti eccellenti tra cui ricordiamo il compositore brasiliano Guinga, Gabriele Mirabassi, Germano Mazzocchetti e il duo Anedda.

La suadente delicatezza di “Gelosamente mia voce” apre l’album, i cui toni si fanno subito intensi e veraci sulle note di “Marzo/Mars”. Un saliscendi emotivo destinato a confluire nei colori e nelle melodie africane di “Nongqongqo (To those we love)”. Suggestivo e toccante l’incontro tra il dialetto romano e la lingua portoghese in “Nina / Nina, se você dorme”, brano in cui Tosca duetta con il chitarrista Guinga narrando i sogni, gli amori e le paure di Nina. Di tanto in tanto, il tempo si ferma sui rintocchi degli intermezzi strumentali tutti intitolati “Il suono della voce”, voce, che, in questi piccoli rivoli di emozioni, è esclusivamente quella di uno strumento, pronto ad emozionarci forse meglio di mille parole. In “Via Etnea” la protagonista è Mimì, una donna mediterranea che, grazie al potere dell’immaginazione, ritroviamo in “Shtel”, il canto della tradizione Yiddish che Tosca interpreta con voce vibrante e pathos tangibile. La gemma più luminosa del forziere è “L’annunciazione”. Il brano scritto da Ivano Fossati su melodia di Guinga tira le fila di una preziosa texture di note e parole lasciando che l’ascoltatore possa contemplarne, non senza stupore, il risultato.

Sogni, paure, desideri e sentimenti si differenziano nella modalità espressiva ma non nel contenuto. “Cicale e chimere”, realizzato in collaborazione con Joe Barbieri, immerge le corde vocali di Tosca in fresco contesto Jazz mentre “Succar ya banat” valorizza la sintonia umana e artistica tra due donne: Giovanna Famulari col suo vibrafono e Tosca con le sue vibranti parole immergono la mente in una dimensione immaginifica ma non è ancora tempo di tornare alla realtà; Tosca si congeda con “Miao”, un canto felino sospeso tra il reale e l’onirico che, unendo il mondo degli umani a quelli degli animali, sancisce e sigilla la valenza ancestrale di un prezioso microcosmo da cui attingere bellezza e poesia.

Raffaella Sbrescia

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EsserEPerfetto Music Contest: al via le iscrizioni per la seconda edizione

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Dopo il successo dello scorso anno, sono aperte le iscrizioni alla seconda edizione dell’EsserEPerfetto Music Contest, il concorso per band e artisti emergenti organizzato dall’associazione culturale barese  OWT Studio e dalla storica etichetta  Otium Record, in collaborazione con Bohemièn Jazz CafèRadio Città Futura (Media partner del contest) e Brescia Management. Le iscrizioni si potranno effettuare online oppure recandosi allo stand di OWT Studio all’interno del Medimex dal 30 ottobre all’ 1 novembre, termine ultimo per l’adesione al concorso. Il vincitore del contest si aggiudicherà la produzione di un EP ( composto da 5 Brani) oltre all’apertura di uno dei concerti previsti dal cartellone de L’acqua in testa.

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Tutte le band selezionate parteciperanno anche ad un format dedicato, in onda in fm su Radio Città Futura il giorno prima dell’esibizione. Per il gruppo che si aggiudicherà il “Premio giuria popolare” ci sarà in palio la realizzazione di un brano inedito e l’apertura di uno dei concerti previsti dal cartellone di “Aquavitae”. Il gruppo vincitore del “Premio della Critica”, invece, si aggiudicherà un mini tour promosso da OWT Studio e Brescia Management con almeno 5 concerti. Infine le 8 band finaliste parteciperanno direttamente alla prima edizione del “Premio Morris Maremonti”, in memoria del cantante ed autore della storica band One Way Ticket, che avverrà al termine del concorso.

Info:  www.owtstudio.it

Intervista a Paolo Di Sabatino: “Trace Elements? Sono i micronutrienti della vita”

Paolo Di Sabatino

Paolo Di Sabatino

“Trace elements” è il nuovo lavoro discografico del pianista e compositore Paolo Di Sabatino, pubblicato su etichetta Irma Records. In questo elegante e ricercato progetto musicale, l’artista ha racchiuso le suggestioni, le influenze e le impressioni del suo e del nostro presente, raggiungendo un risultato in grado di coniugare classe, qualità e contemporaneità. Tante sono le sorprese e le particolarità che Paolo Di Sabatino ha incluso in “Trace Elements” è questa ampia intervista rappresenta l’occasione per scoprirne qualcuna.

Quali sono le idee, le emozioni e i ritagli di vita vissuta che hai racchiuso nel tuo nuovo disco”Trace elements”?

In questo lavoro ci sono tutte le emozioni che mi accompagnano in questo momento della mia vita, soprattutto quelle legate ai miei splendidi figli Caterina e Luigi, fonte inesauribile di ispirazione, insieme a mia moglie Chiara. Le idee musicali sono a loro volta figlie di quello che vivo quotidianamente, non potrebbe essere altrimenti!

Da dove nasce la scelta di questo titolo?

Da una certezza che ho da sempre, cioè quella che nessuno di noi potrebbe mai fare a meno della musica. Trace Elements sono, in biochimica, i micronutrienti. Ognuno di noi si nutre di musica, dalla nascita! E poi nel titolo c’è un’assonanza col numero 3, come i componenti del gruppo.

Nel tuo lavoro hanno partecipato due eccellenze musicali…stiamo parlando di Peter Erskine, batterista riferimento negli ultimi quarant’anni di jazz,  e del bassista Janek Gwizdala, definito “l’astro nascente del basso elettrico a livello mondiale”… Raccontaci come avete instaurato il vostro rapporto di amicizia, in che modo i due artisti hanno preso parte al tuo progetto e cosa ha significato per te questa collaborazione.

Suonare e registrare con Peter è stata una delle soddisfazioni più belle della mia vita. Ci conosciamo da anni, e di tanto in tanto gli ho sempre inviato qualcosa di mio. Un giorno ho ricevuto una sua email di congratulazioni per un mio cd, e da quel momento ho capito che avrei potuto pensare ad un progetto con lui. Io amo suonare con chi dimostra una certa affinità col mio mondo musicale e palesa apprezzamento per le mie composizioni. In effetti lo scorso marzo ho avuto la prova che tra me e Peter c’era la giusta sintonia, e dall’ascolto del CD credo si evinca senza dubbio alcuno. Peter ha dato un grande apporto umano e musicale, ed è stato lui peraltro (conoscendo la mia musica) a presentarmi Janek, ritenendolo perfetto per questo progetto. E ha avuto ragione!

Paolo Di Sabatino

Paolo Di Sabatino

La prima traccia contenuta in “Trace elements” è “Driving blues”, un brano ispirato alla vita on the road di voi artisti…cosa ti regala questo stile di vita e cosa, invece, pensi possa toglierti?

Innanzitutto mi ha regalato l’ispirazione per scrivere dei brani! Anni fa ho anche composto “F.S. Blues”, dedicato ai miei viaggi in treno. Credo di aver raggiunto un sano equilibrio nella gestione del mio stile di vita. Non sono un musicista che suona tutte le sere, non avrei le forze e l’ispirazione per farlo. Quindi le volte che parto, anche se sto fuori un mese, sono bello carico e pieno di energia. Quando torno ho sempre tempo di rilassarmi, recuperare appieno e godermi la casa e la famiglia.

Cosa vorresti che la tua musica comunicasse al pubblico e a quali contesti credi che le tue composizioni si prestino al meglio?

Vorrei sempre comunicare emozioni intense, che si tratti di un brano del mio trio jazz, di una canzone o di una ninna nanna. Sarebbe una tragedia lasciare indifferenza a chi ascolta, è la cosa che mi ferirebbe di più. Metto l’anima in ogni nota che suono e che scrivo sul pentagramma, negli ambiti più disparati, e credo che le melodie che compongo siano adattabili a molti contesti, dallo strumentale jazzistico al cinema. La melodia è sempre il comune denominatore della mia musica e spero sempre di riuscire nell’intento di regalare qualcosa a chi mi ascolta: un sorriso, un pensiero, anche una lacrima, perché no.

In “Trace elements” ci sono anche due standard jazz uno è “Nature Boy”  di Eden Ahbez, l’altro è “They Can’t Take That Away from Me” di George Gershwin; come mai hai scelto proprio questi due brani? Sono legati in qualche modo alle altre tracce che compongono l’album?

Nessun legame particolare, se non il fatto che sono delle melodie che amo. Gershwin però è uno dei miei compositori preferiti, e mi vanto pure di essere nato il 26 settembre come lui!

“Time for fun” è un “lusso” che sempre meno persone possono permettersi, l’hai inserito per sottolinearne l’importanza vitale?

Assolutamente si! Oggi si corre a destra e a manca, senza un attimo di respiro. Ovviamente mi riferisco a chi ha la fortuna di avere un lavoro, che sta diventando quello si un lusso, cosa che stride molto in un Paese dove il primo articolo della Costituzione dice che siamo una repubblica fondata sul lavoro. Il privilegiato che lavora però, spesso lo fa perdendo di vista l’essenza della vita, alla ricerca spasmodica di un benessere economico maggiore. Perdendo di vista così il fatto che il benessere reale è quando ti fermi a guardare un tramonto, quando mangi bene e bevi meglio, quando leggi un bel libro o vedi un bel film, quando riesci a dedicare tempo agli amici e alla tua famiglia: “Time for fun”, appunto.

Ci racconteresti com’è nato il neologismo “Ciclito”?

Mio figlio Luigi ha una sorta di triciclo col quale scorrazza per casa. Spesso e volentieri i bimbi storpiano le parole, soprattutto quelle più difficili. Ed ecco nato “Ciclito”! Ho scritto il brano di getto, immaginando Luigi in frenetica attività su suo amato triciclo/ciclito.

Come nasce e come si sviluppa la bonus track “Ce que j’aime de toi”, scritta a quattro mani con Kelly Joyce?

Conosco Kelly da molti anni, ma a parte una jam session, non avevamo mai avuto l’opportunità di collaborare. Ho pensato che questo brano potesse essere giusto per lei, cantato in francese. Gliel’ho inviato e le è piaciuto subito. Così ha scritto il testo e lo abbiamo inciso. C’è anche un bellissimo videoclip su youtube (http://youtu.be/iDoWMvq7fv4)

Hai collaborato con tantissimi artisti, sia italiani che stranieri, come riesci a conciliare, di volta in volta, il tuo stile con quello altrui?

Diciamo che cerco di collaborare con musicisti che sento affini già prima di suonarci insieme. Va fatto invece un discorso diverso per i cantanti. Quando accompagno i cantanti cerco sempre di immedesimarmi nel loro stile e nelle canzoni che cantano, col l’obiettivo di valorizzare musica e testo, senza perdermi in inutili e dannosi virtuosismi che prevaricherebbero l’interpretazione vocale. Il jazz è bellissimo, ma senza controllo può diventare deleterio!

Paolo Di Sabatino Ph Alessandro Pizzarotti

Paolo Di Sabatino Ph Alessandro Pizzarotti

Sei docente di musica d’insieme e coordinatore del dipartimento di jazz presso il Conservatorio Alfredo Casella di L’Aquila… come sono cambiati, negli anni, i metodi di insegnamento e le modalità di apprendimento da parte degli studenti?

Veniamo da una recente riforma che ha trasformato i Conservatori in Istituzioni di Alta Cultura, come le Università. I metodi non sono cambiati, è cambiata la forma. Ora ci sono i corsi pre-accademici, poi la laurea triennale e poi il biennio superiore. Ci sono molte materie complementari che però tolgono, di fatto, tempo prezioso allo studio dello strumento a casa. Secondo me è una riforma zoppa, che in ambito classico ha anche eliminato la possibilità di sostenere esami da privatista. Mia figlia Caterina, ad esempio,  studia pianoforte con mio padre, che a causa di questa riforma non potrà portarla a compimento degli studi. Dovremo per forza iscriverla in un Conservatorio o Liceo musicale. Secondo me è un’assurdità. La ciliegina sulla torta è che non ci hanno nemmeno equiparato gli stipendi a quelli dei docenti universitari…

A novembre sarai in tour e ti dividerai tra Russia, Cile ed Argentina… che tipo di concerto offrirai al pubblico e come riesci ad instaurare un feeling empatico con la platea internazionale?

In Russia suonerò col progetto “Inni d’Italia”, con l’amico fisarmonicista Renzo Ruggieri. Abbiamo in repertorio i classici della melodia italiana, da Verdi a Baglioni, si tratta di un progetto che abbiamo già portato in Russia, con grande soddisfazione nostra e del pubblico russo. In Cile ed Argentina invece suonerò col mio trio (con mio fratello Glauco alla batteria e bassisti sudamericani che troveremo nelle città dove ci esibiremo, la cosa rappresenterà una preziosa possibilità di scambio artistico e culturale), quindi la mia musica. Mi esibirò anche al festival jazz di Buenos Aires e devo dire che la cosa mi emoziona al solo pensiero. Sento grande affinità con il Sudamerica, da sempre. Poi in Argentina ci sono tantissimi italiani! Sarà meraviglioso per me, e spero anche per loro,  fargli ascoltare le mie melodie.

Raffaella Sbrescia

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Video: “Time for fun”

“2974. Music for Dark Airports”, il full lenght del combo P. oZ.

CoverP.oZ

Preparatevi a lasciarvi travolgere dalle atmosfere oscure, ossessive, a tratti claustrofobiche di “2974. Music for Dark Airports”, l’album realizzato da P. Oz. il combo nato nel 2001 da un’idea di Antonio Bufi e Antonio Lisena. Alla base di questo lavoro d’avanguardia c’è una forte contaminazione tra suoni di matrice rock ed elettronica minimal. Il risultato è una miscela sonora di impatto immediato, pronta a conquistare la psiche e l’epidermide di un ascoltatore attento, pronto a cogliere ogni singola sfumatura tra le innumerevoli stratificazioni sonore scelte per esprimere concetti spesso troppo dolorosi per poterli descrivere attraverso l’uso delle parole. In questo specifico caso il tema che ricorre in questo concept album è il crollo delle Torri Gemelle, avvenuto l’11 settembre 2001, in seguito ad un attacco terroristico a New York. Coadiuvato dalla drammatica forza empatica della copertina, questo disco si fa strada in maniera apparentemente marginale, eppure profonda, nei cuori degli ascoltatori grazie al perturbante fascino dell’oscurità misterica che pervade gran parte delle tracce proposte. Echi e riverberi, voci e rumori distorti, strutture sonore noisy e frequenti cambi ritmici non eliminano il mood onirico che attraversa tutto il lavoro. Giochi elettronici e miscugli strumentali immergono l’ascolto in una dimensione liquida, priva di limitazioni e di etichette, un’opera frastagliata, difficile da inquadrare e da gestire; quasi un buco nero in cui riversare emozioni, suggestioni, pensieri e incubi. Un lavoro visionario, forse estremo, che si presenta come una ipotetica perfetta colonna sonora di una tragedia che va oltre l’immaginabile. “2974. Music for Dark Airports” è molto più di un lavoro strumentale, troppo riduttivo parlare di ambient music, qui si tratta di un lavoro pensato per azionare meccanismi interpretativi individuali, tutti da rimescolare e filtrare per provare a comprendere il mistero della vita.

Raffaella Sbrescia

 

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