Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band in “Area Mediterranea”

Vi proponiamo una nutrita fotogallery dell’evento che si è svolto lo scorso 9 maggio presso  l’Auditorium Parco della Musica di Roma.

Area Mediterranea

con

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band
con la partecipazione del World Spirit Orchestra
special guest: Rodolfo Maltese

Dal ‘melòs’ delle loro radici legate al Mediterraneo, all’Atlantico della musica americana (nord e sud) questi due percorsi paralleli, attraverso il mare, si incontrano ed ecco che nasce la presentazione comune di due progetti discografici apparentemente lontani ma che si sono sviluppati in un contesto culturalmente omogeneo.

Fotogallery a cura di: Roberta Gioberti

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

 

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

DSC_1935 copia

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

Arb Trio e Mario Donatone & Giò Bosco Band Ph Roberta Gioberti

Intervista a Roberta Di Mario: “La musica è un contenitore di colori”

custodia_statodellecose (2)Roberta Di Mario è una compositrice, autrice, pianista, cantautrice, producer parmense che, forte di un’espressione musicale poliedrica e senza confini, ha pubblicato lo scorso 28 marzo l’album intitolato “Lo stato delle cose”. Il progetto racchiude due percorsi artistici distinti eppure appartenenti ad una sola anima: “Songs” e “Walk on the Piano Side”, il primo con tracce cantate, il secondo solo con brani strumentali. Vincitrice del premio “Sisme” – migliore interpretazione al Festival di Musica popolare e Canzone d’Autore  – Musicultura 2012, finalista al Premio Bindi 2012 e vincitrice del Premio Varigotti Festival 2012, Roberta ha risposto alle nostre domande svelando una sensibilità raffinata e particolarmente attenta anche alle più impercettibili sfumature dell’animo animo.

Il tuo repertorio passa dal pianismo contemporaneo al jazz, dallo swing al pop cantato… Quali sono le idee che ti ispirano, i passaggi che determinano i cambiamenti stilistici e le suggestioni che intendi comunicare attraverso la tua musica?

Mi sono diplomata in pianoforte per cui tutto è partito da un mondo classico. In un secondo momento sono passata alle colonne sonore e ai musical avvicinandomi allo swing e al jazz ascoltando e assorbendo sonorità un po’ diverse. Non ho fatto uno studio jazz, mi sono avvalsa della mia predisposizione personale per poter trasmettere al pubblico il mio mondo interiore. Sia nella musica che nel testo metto i miei sentimenti e i miei mondi musicali senza incanalarmi in un genere specifico.

Da dove nasce l’idea di convergere “Songs” e “Walk on the Piano Side” in un unico progetto?

Ho voluto unire le mie due anime: cioè quella del pianismo e della canzone anche perché credo che all’interno del panorama italiano una cosa così sia abbastanza originale.  Ho voluto fortemente unire questi due  know how insieme perché sono parte di me, l’uno non esiste senza l’altro. Nel mio disco precedente c’erano 10 tracce, di cui 8 canzoni e 2 testi di piano perché già allora volevo unire due progetti artistici che fanno parte di uno stesso cuore.

“Qual è “Lo stato delle cose” oggi?

Per me lo stato delle cose è scrivere, suonare e cantare ed esprimermi attraverso musica pura. Queste sono faccende di alta acrobazia, eccitanti e pericolose al contempo, mettono in evidenza chi sei davvero, la tua parte più intima che è quella più vera e più profonda. Lo stato delle cose è, quindi, raccontare chi sono io oggi, con tutta la trasparenza e la fedeltà possibile. Combatto affinchè la qualità della mia musica possa fare la differenza, anche se non distinguo musica di serie a e di serie b, tutta la musica bella, rimane tale e merita di essere ascoltata.

In che modo la direzione artistica di Piero Cantarelli ha influito nella creazione del disco?

Piero ha dato una svolta al mio percorso artistico. Lui viene da un mondo fortissimo, che è quello dei cantautori come Ivano Fossati. Da un lato mi ha scosso per cercare dentro di me il coraggio e la  sincerità, dall’altro questi arrangiamenti classici e contemporanei al contempo, hanno vestito le canzoni in un modo molto attuale ed elegante. Piero ha una grandissima sensibilità musicale, anche lui viene dal mondo del pianoforte e ci siamo trovati non solo vocalmente ma anche sul piano strumentale.

Roberta di Mario

Roberta di Mario

C’è un brano, tra quelli cantati, a cui sei più legata?

Senz’altro sono legatissima a “Lo Stato delle cose”, che è anche la title track del disco, perché c’è un contrasto tra un suono violento ed una sonorità più dolce e intima. Questo brano racchiude il senso dello stato delle cose attuale, in cui si alternano momenti fortemente violenti e drammatici a momenti molto sereni. Poi c’è “Il Mercante di sogni”, il brano musicalmente più bello, più coinvolgente, che rimanda tanto alle immagini. Per me è come se fosse una colonna sonora, infatti tra i miei sogni nel cassetto c’è  quello di scrivere colonne sonore perché la caratteristica della mia musica è quella di rimandare tantissimo alle immagini.

“Hands” ha musicato la Mostra Internazionale del Maestro Botero…cosa racconta questa composizione?

Il titolo di “Hands” è nato mentre mi guardavo le mani che volavano sulla tastiera. Dopo poco ho scoperto che il Maestro Botero ebbe un incidente nel 1979  in cui perse suo figlio e l’ultima falange del mignolo della mano destra, ciò lo spinse a scolpire più volte enormi mani. Per me è stato come se si chiudesse un piccolo cerchio, ho capito che la melodia del brano si legava alla creatività del maestro ma anche al suo percorso personale.

Qual è, secondo te, il lato luminoso delle cose di cui parli ne “Il pensiero magico”?

Il lato luminoso delle cose è essere positivi verso la vita. L’aspetto positivo di ogni cosa, di ogni incontro, nel bene e nel male. “Il pensiero magico” è la catarsi di un percorso all’interno del disco: trasforma un punto di domanda nella più bella fantasia.

Come ti senti ad aprire i concerti di Roby Facchinetti e Sagi Rei. Quali sono le tue prospettive in proposito?

Si tratta di bellissime lezioni artistiche. Roby Facchinetti resta uno dei cantanti che ha fatto la storia della musica italiana e continua a farlo. Adesso ha iniziato questa nuova avventura da solista e da lui potrò imparare il modo di porsi sul palco e tanti segreti professionali, poi, ovviamente, il suo pubblico sarà anche il mio pubblico e potrò far conoscere il mio progetto. Lo stesso avverrà con Sagi Rei, anche se si tratta di un artista più giovane, ma che ha il suo background ed un pubblico diverso. Questi quattro appuntamenti sono un po’ l’ anteprima  del mio tour e serviranno per vedere la reazione di un pubblico nuovo e trasversale verso la mia musica. Aprirò e chiuderò i concerti con 5 brani, di cui l’ultimo sarà sempre un pezzo strumentale.

Raffaella Sbrescia

Si ringraziano Roberta di Mario e Clarissa D’Avena per la disponibilità

Gnut in concerto: una scorta di poesia

Gnut

Gnut

Il Suo.Na, la rassegna di concerti organizzata da Ufficio K, in collaborazione con Bulbartworks e Wasabee,  giunge al termine. L’ultimo appuntamento musicale della stagione invernale ha avuto luogo lo scorso 9 maggio presso la Sala 3 del Duel Beat di Agnano. Protagonista del palcoscenico il folk singer napoletano dall’anima nomade Claudio Domestico, in arte Gnut. Accompagnato da musicisti esperti nonchè amici fraterni come Piero Battiniello (basso), Marco Capano (batteria), Luca Carocci (chitarra acustica), Daniele Mr Coffee Rossi (tastiere e loop) e Mattia Boschi (violoncello), Gnut riesce subito a conquistare la platea del freaky friday attraverso la sua verve di chansonnier distante da qualsiasi limitazione spazio- temporale.

Gnut

Gnut

Il concerto, primo appuntamento del nuovo tour dell’artista, si apre con i brani pubblicati in “Prenditi quello che meriti”, il terzo e ultimo album del cantautore. Le parole del singolo “Non è tardi”, infondono coraggio e forza prima di immergersi nelle torbide e, tuttavia, dolci acque di “Fiume lento”. Ipnoticamente affascinante la ritmicità semantica e strumentale di “Prenditi quello che meriti”: Prenditi quello che meriti e dona a chi merita quello che puoi, canta Claudio, mentre sorrisi e sguardi complici, sopra e sotto il palco, diffondono una sottile trama di energia positiva nei cuori di persone desiderose di vita e di emozioni. Assolutamente toccante, sia dal vivo che nel cd, è “Solo una carezza”, la storia che, in poco più di due minuti, racconta il dramma della violenza e la speranza della rinascita individuale. In “Foglie di Dagdad” Gnut racconta di un’intima connessione con gli spazi e i ritmi naturali così come avviene in “Estate in Dagdad”: profumi, parole, odori, spazi e sapori si rincorrono in un giocoso andirivieni di ricordi. In “Dimmi cosa resta” il frutto di un forte scontro padre-figlio si trasforma in un verace flusso di coscienza che trova la sua naturale conclusione in “Ora che sei”.

Gnut e Dario Sansone

Gnut e Dario Sansone

Gnut, dall’alto della sua gracile figura, si fa forte del retrogusto selvaggio della propria vocalità diventando il rappresentante ideale di una vita trascorsa perennemente in giro, seguendo il flusso delle note e della passione per la musica. Il manifesto di una gavetta fatta con amore e dedizione è “Torno”, la descrizione di un migliaio, un milione di ritorni, cantata ad occhi chiusi e a cuore aperto. Dal folk ci si sposta ad un più complesso blues che trova i primi sprazzi espressivi in “Universi” e che si riproporrà, poco dopo, in “Gospel 1840” un brano dedicato sia alla madre terra che alla madre fisiologica. Il tutto accade non prima di aver ascoltato la magica rivisitazione di “Passione” di Libero Bovio, un brano in cui Claudio è capace di riversare tutto l’amore che è in grado provare… il risultato è magico, ipnotico, incantatore.

Gnut e la band

Gnut e la band

Nella seconda parte del concerto c’è spazio per la disillusione di “Credevo Male”, alternata a “L’importante è ca staje buono”, primo singolo dei Tarall & Wine, che Claudio ha cantato proprio insieme a Dario Sansone (Foja), ospite della serata. L’ultima trance del concerto assume, se possibile, una piega strumentale ancora più interessante: gli ultimi brani in scaletta: “Esistere”, “Solo con me”, “Delirio” e “Controvento” si rivestono di un movimento musicale vorticoso e libero da vincoli. Corpi, voci e note trascendono la malinconia narrata nei testi delle canzoni regalandoci, ancora una volta, una preziosa dose di poesia.

Raffaella Sbrescia

Ron, “America” : la recensione del singolo e del video

IMG_9841_LOW_Ron (2)Rosalino Cellamare, in arte Ron, presenta “America”, il nuovo singolo tratto da “Un abbraccio unico”, l’ultimo album di inediti arrivato a 5 anni di distanza dal precedente. Il noto cantautore è ritornato per dirci qualcosa di nuovo ma sempre assolutamente autentico, restando fedele al suo percorso fitto di canzoni destinate a rimanere a lungo nella nostra memoria e nel nostro cuore. La storia di “America” è un po’ diversa dal solito, il brano è, infatti, un inedito scritto da Lucio Dalla apposta per Ron.

A svelare il prezioso aneddoto è lo stesso Rosalino: «Era il 1992 e le cose andavano molto bene per me. Ma io non ero soddisfatto. Vivevo sempre con la sensazione che mancasse qualcosa, quel premio da vincere, quella trasmissione tv dove andare, quel palco prestigioso da riempire. Lucio non sopportava più quella mia insoddisfazione, il mio perenne malessere e come faceva spesso per farmi capire le cose, anziché spiegarmele davanti ad un bicchiere di vino, scrisse le parole di America. Su di me, su quel mio modo di non godermi il successo. Voleva spronarmi a vivere la vita. Lui che era così goloso di vita. Il messaggio arrivò chiaro».

Non poteva utilizzare altre parole Ron per raccontare l’essenza che si nasconde dietro parole piene di amore e di incoraggiamento che, a distanza di tanto tempo, sono assolutamente in grado di offrire una chiave di lettura utile a tanti, troppi uomini che, in un momento storico tanto difficile come quello che viviamo, hanno bisogno di ripescare in fondo alla propria anima non solo l’amor proprio ma anche, e soprattutto, un sentimento di compenetrazione con il mondo circostante. Si tratta di un processo difficile, spesso succube di un sistema sociale alienato ed alienante, sempre più privo di valori autentici a cui fare riferimento. Eppure il potere della musica è proprio quello di stimolare il processo naturale di rinascita individuale e, in questo, Ron è sempre stato bravo. Il videoclip del brano, diretto dal giovane regista vicentino Marco Donazzan, è stato girato nel Teatro Cagnoni di Vigevano, sede della scuola di musica di Ron intitolata “Una città per cantare”, un luogo che traspira cultura e vita quella di cui l’immenso Lucio Dalla era così profondamente innamorato.

Raffaella Sbrescia

“Un’altra ancora”, il nuovo singolo dei Nobraino

NOBRAINO 2Il fascino dei Nobraino continua a mietere vittime. “Un’altra ancora” è, infatti, il nuovo singolo della scatenata band indie rock. Tratto dall’album “L’ultimo dei Nobraino”, il brano si avvale di un testo brillantemente dissacrante, una canzone d’amore al contrario in grado di svelare un’anima allergica alla quotidianità di un rapporto a due. Il protagonista del brano è uno spirito vagabondo abituato a trotterellare di fiore in fiore per carpirne ogni più piccolo segreto prima che esso inevitabilmente sfiorisca. “Ora che ti parlo senza farti cadere, Ora che ho capito con chi faccio l’amore, Io con te potrei Dormire….  Ora che ho capito tutto quanto di te, ora che mi piace tutto quanto di te, puoi andartene per la tua strada io troverò un’altra ancora tutta da scoprire così … Io troverò un fiore ancora tutto da fiorire”; lo spiazzante testo si accompagna alla consolidata forma canzone a metà strada tra cantautorato impegnato e ironico folk-rock che, forte di un rodaggio di oltre un migliaio di concerti, rappresenta un inespugnabile marchio di fabbrica per i Nobraino. Lorenzo Kruger e soci sono lontanissimi da qualsivoglia etichetta o schema pre-impostato, il loro repertorio è in grado di variare in lungo e in largo senza mai perdere la credibilità artistica che fa di questo gruppo una delle realtà più interessanti dello scenario musicale italiano.

 Raffaella Sbrescia

Queste le prossime date del tour:

 11/05/2014         Pisa, Aspettando Metarock

21/05/2014         Padova, Cerebration Fest

 22/05/2014         Parma, Ex Carcere San Francesco

24/05/2014         Rimini, Velvet

 30/05/2014        Bologna, Biografilm Festival

31/05/2014         Segrate (Mi), Magnolia

07/06/2014         Castiglione del Lago (Pg), La Darsena Live Music

11/06/2014         Bergamo, Festa delle Cooperative

14/06/2014         Senigallia (An), Mamamia

21/06/2014         Sassocorvaro (Pu), Indietamo Festival

 26/06/2014         Monteprandone (Ap), Festa della Birra

27/06/2014         Bucine (Ar), Nostop Festival

28/06/2014         Jelsi (Cb), Piazza Valiante

04/07/2014         Ome (Bs), Somenfest

Video: “Un’ altra ancora”

Maggio della Musica: Michele Campanella, David e Diego Romano omaggiano Čajkovskij

 Michele Campanella (al centro) con i fratelli David e Diego Romano Ph Flaviana Frascogna

Michele Campanella (al centro) con i fratelli David e Diego Romano Ph Flaviana Frascogna

Continuano i prestigiosi appuntamenti musicali del Maggio della Musica. Lo scorso 8 maggio, nella splendida veranda Neoclassica di Villa Pignatelli a Napoli, si è tenuto il concerto in omaggio al compositore russo Petr Čajkovskij. Al pianoforte il direttore artistico della rassegna Michele Campanella, accompagnato dai fratelli Davide e Diego Romano, rispettivamente al violino e violoncello e fiori all’occhiello dell’Orchestra Sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. I tre solisti hanno dedicato le proprie energie ai tortuosi pentagrammi del Trio in la minore op.50, il penultimo capolavoro che il celebre compositore russo scrisse mentre si trovava a Roma nel 1882, in memoria dell’amico fraterno suicida Nikolai Grigor’evič Rubinštejn. Davvero particolare la scelta di Čajkovskij di comporre un trio per pianoforte e archi, genere che l’autore aveva sempre detto di detestare, così come aveva fatto anche in una lettera destinata alla sua benefattrice Nadezca von Meck: «I miei organi uditivi sono fatti in modo tale da non poter assolutamente ammettere alcuna combinazione con un violino o un violoncello. Per me i diversi timbri di questi strumenti si combattono e la loro unione mi sembra una tortura». Nonostante questa forte ritrosia il maestro ci ripensò, si mise alla prova, sfido le sue stesse paure componendo questo ampio lavoro compositivo che, articolandosi, in due momenti, riveste anima e atmosfera di intesa malinconia. Tinte forti, quasi tragiche, attraversano una composizione che non dà tregua ai nervi e ai sentimenti.

Nell’introdurre il concerto, il maestro Campanella entra subito nel vivo del brano, spiegandone i punti chiave: «Per questo concerto, che celebra il compleanno di Čajkovskij, eseguiremo una sola composizione. Il brano è lungo ed esaustivo per noi e per voi, aggiungendo qualunque cosa avremmo appesantito il tutto. Come avrete modo di notare, in questo lavoro non c’è nulla di italiano, benché abbia visto la propria genesi nella città di Roma, continua Michele Campanella. Quello che manca è una visione serena, in questo brano la scrittura è oscura, depressa. La fase compositiva, della durata di un mese, non è stata immediata, Čajkovskij era contrario all’idea di un Trio, era convinto che questi tre elementi insieme non stessero bene ma alla fine diede vita a questa battaglia tra il pianoforte ed i due archi. La scrittura non è da Trio, racconta il Maestro, il pezzo è del tutto anomalo all’interno della musica da camera e presenta una forte bulimia di note. Mai, come in questa occasione, vita e arte si fondono in un unico percorso inscindibile, incentrato su un’intima e malinconica confessione autobiografica, a metà strada tra tormento e disperazione. Ad aprire il concerto un Pezzo Elegiaco, moderato assai. Allegro giusto, seguito da un Tema andante con moto e tutta una serie di variazioni declinate in undici diverse mutazioni, in grado di attraversare tanto il pentagramma quando gli aspetti dell’animo umano. Volti, gesti e righe di sudore si accompagnano alle note che avvolgono la sala in un’atmosfera plumbea e solenne al contempo. Il ritmo è nemico dell’esitazione, il tempo scorre implacabilmente veloce fino alla vibrante ed intensissima variazione finale e Coda con archi alternati in “piangendo” ed il pianoforte in pianissimo “poco  a poco morendo” fino allo spegnimento conclusivo; sublime.

Nell’immancabile bis Campanella, David e Diego Romano offrono un molto più breve estratto dal Trio opera 100 di Schubert  in cui l’ Andante con moto assume subito il significato di valore aggiunto. Una marcia sottotraccia  al pianoforte accompagna e scandisce gli altisonanti picchi degli archi che, fino all’ultimo istante, sprigionano l’essenza della vita.

Raffaella Sbrescia

“Curtain Call”: il rock esterofilo dei The Citizen

the citizen 2“Curtain Call” è il titolo del nuovo progetto discografico della rock band made in Salerno The Citizen. Sonorità di forte impatto richiamano subito l’immaginario alle grandi band del momento… I The Citizen fanno subito sul serio, gli 8 brani che compongono questo full lenght sono cantati tutti in inglese e, in effetti, questo gruppo ha molto poco a che fare con la musica italiana. Ace (Ciro Amoroso) alla voce, chitarra e synth, Franco Amoroso al basso e back vocal, Roberto Coscia alla batteria e percussioni e Noam Radetich alla chitarra, pianoforte e synth hanno già lanciato sul web il singolone “Curtain call”, il brano descrive il richiamo ancestrale del palcoscenico, dà il nome al disco, di prossima uscita e che sta riscuotendo consensi e attenzioni anche oltreoceano, ad ulteriore testimonianza di una cifra stilistica di concezione esterofila.

the citizen 1Ritmo incalzante e tematiche intimistiche trovano una riuscita via di incontro attraverso una formula semantica e strumentale strutturata con cura. Il disco prosegue sulle note di “You and I”, il brano si fa ascoltare con piacere, grazie ad un crescendo sonoro che cerca di non strafare. Il tema del brano è incentrato su un rapporto a due da costruire e cementare, sforzo e impegno saranno le chiavi di volta di un rapporto destinato a durare. Doppio è il livello sintattico di “This time”: un primo passaggio determinato dal dialogo tra chitarra acustica ed elettrica, si abbina ad una svolta hard rock che sorprende e convince. Il più bel brano dell’album è “The way you change” “You will not surreder to the way you change”, i The Citizen cantano l’evoluzione identitaria del singolo  tessendo fitte trame chitarristiche dal forte impatto emotivo, per un risultato assolutamente ottimale.  L’immancabile ballad è “Something left”: “when all the games are done, what remains is just last tear”, eppure non tutto è perduto, anche in questo caso la vena compositiva dei The Citizen è in grado di virare repentinamente verso un mood più rock, stemperando vivacemente i toni. “Relax, and take your time. What you’ve lost, just stays behind”, il testo di “Relax” scorre veloce tra percussioni e chitarre in picchiata fino ai synth finali mentre “Panik Attack” è una scarica elettrica che si serve di bugie, domande e paure per alienare la mente da uno spirito dannato. Il disco si chiude con un “Outro” strumentale dall’effetto perturbante, proprio come lo è la concezione del bello.

Raffaella Sbrescia

Video: “Curtain Call”

Ligabue, “Il muro del suono”: la recensione del singolo e del video

Luciano Ligabue

Luciano Ligabue

“Il muro del suono” è il nuovo singolo di Luciano Ligabue. Il brano è tratto dall’album “Mondovisione” e, grazie al forte impatto di un testo pensato per indurci a riflettere, l’ambientazione del videoclip in un ex polo industriale di Reggio Emilia risulta piuttosto azzeccata. Prodotto da G. Battista Tondo, per Eventidigitali Films, e diretto da Riccardo Guernieri, con la fotografia di Fabrizio La Palombara e il disegno luci di Jo Campana, il videoclip abbina le parole del testo a riprese di scritte particolarmente significative: “Fa male la memoria a breve termine”, “Solo questione di prospettive”, “Coincidenza un cazzo”, questi gli sfoghi umani impressi tra le mura in putrefazione di un imponente polo industriale, abbandonato e in rovina. “Sotto gli occhi sempre distratti, comunque distratti del mondo, Ligabue elenca gli ultimi colpi di spugna consumata di una democrazia in grave deterioramento. Ad ogni angolo ci si barcamena tra chi si nutre di speranza, tra chi, invece, dispera e chi, infine, riesce comunque a poggiare in ogni caso la testa sul cuscino.

Sotto gli occhi annoiati e distratti del mondo si consumano i peggiori crimini ma, chissà per quale motivo, ci si concentra solo sulle pallottole in canna dei media. Ligabue ne ha per tutti, anche per quella giustizia in cui confidiamo fiduciosi ma che, troppo spesso, si muove in ritardo, appesantita da un sistema reso paralitico dalla burocrazia e da avvocati che si sentono Dio. Nonostante un quadro tragico, il rocker di Correggio riesce, tuttavia, a trovare un modo per smantellare la sottile filigrana grigiastra che ci sovrasta: “C’è qualcuno che può rompere il muro del suono mentre tutto il mondo si commenta da solo, il cerino sfregato nel buio fa più luce di quanto vediamo”, canta Luciano, ed è vero: un piccolo cerino, un oggetto quasi in via d’estinzione, in assenza di luce, ci risulta comunque indispensabile per tracciare un piccolo sentiero che non ci faccia finire nel burrone.

Un arrangiamento, impeccabilmente energico e sfrontato, regala a questo singolo una verve travolgente e carismatica, in grado di conquistare tempo e attenzione in qualsivoglia contesto. “Chi doveva pagare non ha mai pagato per la carestia, chi doveva pagare non ha mai pagato l’argenteria, chi doveva pagare non ha mai pagato” e continua a non farlo, aggiungiamo noi. La vita ci impone di acquisire virtù come pazienza, diplomazia, arte del compromesso ma, tra tutti i rassegnati distratti del mondo, ci sarà sempre quel cerino pronto ad accendere un focolaio di speranza nei nostri cuori maledetti.

Raffaella Sbrescia

Video:  ”Il muro del suono “

MONDOVISIONE TOUR – STADI 2014”

30 maggio  ROMA      Stadio Olimpico   SOLD OUT

31 maggio   ROMA     Stadio Olimpico                           

6 giugno     MILANO  Stadio San Siro   SOLD OUT

7 giugno     MILANO   Stadio San Siro   SOLD OUT

11 giugno    CATANIA  Stadio Massimino   SOLD OUT

12 giugno    CATANIA  Stadio Massimino

12 luglio      PADOVA    Stadio Euganeo

16 luglio      FIRENZE   Stadio Artemio Franchi

19 luglio      PESCARA   Stadio Adriatico

23 luglio      SALERNO  Stadio Arechi

6 settembre  TRIESTE  Stadio Nereo Rocco    NUOVA DATA

9 settembre    TORINO   Stadio Olimpico        NUOVA DATA

13 settembre   BOLOGNA  Stadio Dall’Ara      NUOVA DATA

20 settembre   BARI          Arena Della Vittoria   NUOVA DATA

 

Intervista al regista e videomaker Tiziano Russo: dagli esordi in webcam, ai videoclip dei Negramaro, fino al docufilm “Habemus Mister”

Tiziano Russo

Tiziano Russo

Tiziano Russo è un regista e videomaker salentino. Nonostante la sua giovane età, Tiziano è riuscito ad individuare una propria originalissima cifra stilistica fin dagli inizi del suo percorso artistico e, forte, di un innato istinto creativo, si è lanciato, con successo, nel mondo musicale e cinematografico. In molti lo conoscono soprattutto per i videoclip che ha realizzato per i Negramaro ma Tiziano Russo vanta un curriculum ancora più ricco di quanto si immagini: Mina, il cantautore Marco Sbarbati e Le Strisce si aggiungono, infatti, ai grandi nomi con cui il regista ha collaborato. In occasione della presentazione di “Habemus Mister”, l’opera prima realizzata da Tiziano Russo, insieme alla sceneggiatrice Ilaria Macchia, abbiamo intervistato il regista per conoscere ed approfondire il suo mondo fatto di immagini.

Come ti sei avvicinato all’attività di regista e video maker e quali sono, secondo te, i requisiti imprescindibili per capire come interfacciarsi con questo tipo di professione?

Ho studiato cinema a Roma 10 anni fa, realizzando un approfondimento teorico di quello all’epoca stavo realizzando. A quei tempi non avevo materiali o strumenti per cominciare a realizzare le mie piccole cose e quindi mi sono affidato alla webcam. Diciamo che il mio inizio è stato interattivo o comunque virtuale, mi sono subito interfacciato con youtube e i vari social network cercando di diffondere, attraverso quel mondo, le mie piccole idee che, essendo realizzate con webcam, erano di una qualità piuttosto bassa. In seguito ho iniziato a girare direttamente dei videoclip, cosa che in quel periodo era forse un po’ più facile da realizzare. Col tempo la passione si è trasformata in un lavoro. Mi veniva talmente facile realizzare un videoclip, anche in mezza giornata, che riuscivo a farlo costantemente e poi da lì sono arrivati i vari contatti nel mondo della musica riuscendo ad arrivare anche ai più grandi.

Per quanto riguarda il discorso legato alla professione, io credo che questo mestiere con la telecamera a volte abbia molto a che fare e a volte praticamente per niente. Si tratta di una cosa assolutamente soggettiva, che dipende dal regista. Io sono di quelli che a volte ama stare in macchina, altre volte invece seguo il monitor, giusto per capire come vanno le cose. Quello che è imprescindibile, secondo me, è l’istinto del gusto, qualcosa di inspiegabile. Ci sono dei momenti, quando scegli quello che ti piace, in cui si capisce subito se sei parte di questo mondo oppure no. L’istinto è qualcosa di cui non ti rendi neanche conto, non stai lì a pensare cosa è giusto e cosa non lo è.

“Habemus mister” è la tua opera prima che ha visto anche la collaborazione della sceneggiatrice Ilaria Macchia. Com’è nato questo docufilm e la relativa sceneggiatura?

Nel giorno stesso delle dimissioni del Papa Benedetto XVI ho avuto l’idea di riprendere tutto quello che accadeva in piazza. Durante le interviste che realizzavo la domanda era sempre la stessa: “Cosa sta succedendo?”. Se gli interlocutori erano al corrente degli eventi, si lasciavano andare anche in monologhi di 20 minuti. Andavo tutti i giorni a riprendere, pensavo fosse bello documentare le dimissioni del Papa e le reazioni della piazza, poi pian piano mi sono accorto che non avevo a che fare semplicemente con dei fedeli bensì mi trovavo di fronte a dei veri e propri tifosi del papa. Quindi sono andato da Ilaria, la sceneggiatrice, e le ho detto di non essere interessato alla realizzazione di un documentario sul Papa. Alla luce della mia deduzione, anche lei, riguardando il materiale raccolto, ha avuto la mia stessa sensazione e abbiamo pensato di legare la storia del papa ad una vicenda che rappresentasse il mondo sportivo. Da lì è nato tutto, abbiamo trovato il mister, con cui mi allenavo in una piccola squadra di calcetto, l’unico contatto sportivo che avevo. Quest’allenatore non vedeva l’ora di mollare la squadra, quindi ho subito trovato una situazione che in qualche modo potesse riallacciarsi a quella del Papa ed è venuto fuori il documentario. Questo lavoro sta ricevendo degli ottimi riscontri, l’abbiamo presentato in anteprima nazionale al Bif&st, Bari International film festival, tra i più importanti d’Italia, ed è stata una bella soddisfazione. Naturalmente parteciperemo anche ad altri Festival con altre proiezioni, ci stiamo muovendo per ottenere i migliori risultati possibili.

Nonostante la tua giovane età, hai tante collaborazioni importanti all’attivo… Tra i tuoi lavori più noti, ci sono i videoclip che hai realizzato per i Negramaro. Qual è stato il video con cui li hai conquistati all’inizio del vostro percorso insieme?

Io e Giuliano siamo dello stesso paese, con Andrea eravamo addirittura vicini di casa solo che tra di noi c’è una differenza di età di circa 7-8 anni e all’epoca non ci conoscevamo. Quando iniziai a fare le mie prime cose con la webcam, realizzai un video, ancora disponibile su Youtube, intitolato “Indice tenace”. Quando ho fatto questo video, ci ho messo sopra “Notturno”, un brano tratto dal primo album dei Negramaro. Qui ritorna il discorso legato all’istinto: in quel brano c’era l’atmosfera perfetta per quello che intendevo comunicare. Non so esattamente come sia arrivato nelle mani di Giuliano e di tutti i ragazzi, comunque l’hanno visto e quando poi ci siamo incontrati, per caso, in un pub a Covertino, Giuliano mi ha visto e mi ha chiesto se ero io il tipo che aveva realizzato quel video pazzo in stop motion con il brano “Notturno” e da lì è iniziato tutto. Da un giorno all’altro mi hanno chiesto di seguirli con loro in tour per documentare tutto quello che accadeva, ho lasciato il set di un film a cui stavo lavorando da due mesi e sono partito con loro. Da lì è nata un’amicizia fortissima, siamo praticamente fratelli.

Tiziano Russo

Tiziano Russo

In una recente intervista hai raccontato che, tra i video che hai girato per la band salentina, sei più legato a “Sei”. Ci racconti perché e quali sono le suggestioni interpretative che intendevate trasmettere attraverso il video?

Ogni video ha una sua gestazione, è frutto di un  pensiero che può durare anche mesi e con i Negramaro succede spesso di parlare tantissimo prima di arrivare alla fase di realizzazione del video. Per quanto riguarda “Sei”, loro volevano moltiplicarsi, cioè volevano che questo sei diventasse un multiplo di sei, un numero che fosse in grado di rappresentarli sempre, per cui ho pensato che la cosa più giusta fosse ricreare una stanza di specchi. Quello che si evince dal video è il fatto che sono sempre loro sei ma si ritrovano, si rivedono, si rispecchiano, tutto si moltiplica. Quando poi ho scritto l’idea e l’ho proposta alla produzione, per curare tutto l’esecutivo, avevamo la necessità di ambientare il video in una location del tutto fiabesca, un po’ fuori dalla realtà, qualcosa di non facile da trovare e che potesse ospitare grandi strutture, l’abbiamo trovata nei pressi di Otranto a Le Orte. Tengo molto a quel video perché dietro c’è un lavoro impressionante.

Cosa significa per te realizzare un “ritratto di note”, ovvero fissare i suoni in immagini?

Nei videoclip, ma anche nei film, c’è sempre un suono; ci sono dialoghi che hanno un suono e poi ci sono dei silenzi. Quando giro un video spesso agiamo in assenza di musica, come è accaduto, ad esempio, nel caso di “Se” di Marco Sbarbati. Ho lasciato a tutti molta libertà di fare, gesticolare, e mentre riprendevo, mi accorgevo delle sonorità dei gesti. Quello era il tipo di musica che doveva accompagnare quelle immagini. In sintesi, durante le riprese quello che è importante non è la musicalità ma il suono, ogni tipo di azione mi dà un suono e, quel tipo di suono, può essere legato a determinate musiche.

Alla luce di quanto ci hai spiegato, qual è la cifra stilistica che hai seguito per la realizzazione del videoclip di “Se”?

Si tratta di un video molto intimo. Il brano è molto delicato, parla di attimi, di momenti, di cose che possono essere cambiate dal nulla e volevo focalizzarmi su attimi che possono verificarsi anche nei più piccoli movimenti che non ricordiamo e non sappiamo nemmeno di compiere. Altri elementi di cui non riesco a fare a meno sono le mani. Nel video ci sono, infatti, molte mani, siamo un popolo che vive di gesti, io sono un po’ ossessionato dalle mani e dalla nudità dei corpi e quello è un video che fa attenzione al gesto.

Puoi anticiparci qualche collaborazione di cui vedremo a breve i frutti?

Sì, ho girato un video per Le Strisce che uscirà in questo mese.  Davide Petrella, tra l’altro, ha scritto delle cose molto belle anche per “Logico”, il nuovo album di Cesare Cremonini.

Hai dei progetti paralleli in corso?

Ci sono ovviamente anche delle altre cose che usciranno durante la seconda metà di quest’anno che sto ancora pensando e scrivendo. Adesso sono in una fase di scrittura documentaristica. Per i videoclip si tratta, invece, di cose che cambiano di giorno in giorno.

Quali sono, secondo te, le prospettive future del settore audiovisivo?

Questo è un settore in continua evoluzione. Anche se si parla di crisi, in particolar modo nel mondo del cinema, ci sono tantissime sit com, serie tv, reality che, in ogni caso, stanno determinando un cambiamento del linguaggio in uso. Io faccio parte della categoria degli ottimisti, penso che questo sia un periodo di passaggio, di transito,  c’è molto fermento e voglia di fare, non solo da parte dei giovani. Per quanto riguarda il pubblico, invece, la direzione è un po’ negativa, perché il cinema non è più quello di una volta, relativamente ai numeri, Internet ha cambiato il modo di vedere le cose, l’audiovisivo dovrà adeguarsi a questi cambiamenti. Forse in futuro non avremo più film da 600 sale ma film da 100 sale. A me dispiace dirlo perché trovo che il cinema sia completamente un’altra cosa; quando ho visto il mio documentario in sala, durante l’anteprima, mi veniva da piangere per l’emozione però l’uomo ormai tende a stare più a casa che in giro. Forse dobbiamo accettare o abituarci all’idea di un cinema a portata di clic.

Raffaella Sbrescia

Si ringrazia Tiziano Russo per la disponibilità

Classifica FIMI: “Museica” di Caparezza è l’album più venduto

La recensione di Museica, il nuovo album di Caparezza

La recensione di Museica, il nuovo album di Caparezza

Caparezza si conferma al primo posto della classifica FIMI/GFK degli album più venduti della settimana in Italia con il nuovo album di inediti “Museica”. Alle sue spalle c’è nuovamente Biagio Antonacci con “L’amore comporta” mentre è Paolo Nutini a chiudere il podio con “Caustic Love”. In quarta posizione ritroviamo Davide Van De Sfroos con “Goga e Magoga”, seguito da “Senza Paura”, l’album di Giorgia. Al sesto posto c’è Francesco Renga ed il suo “Tempo Reale” mentre in settima posizione resiste “Mondovisione” di Luciano Ligabue. Scende in ottava posizione Moreno con “Incredibile”, seguito da Mondo Marcio con il suo nuovo disco intitolato “Nella bocca della tigre”. Chiude la top ten la new entry Damon Albarn con il maliconico e raffinato “Everyday Robots”.

Previous Posts Next Posts