“Vinilici. La Passione per il disco. I negozi – i collezionisti – le fiere” è il titolo del volume realizzato da Iuppiter Eventi, associazione culturale senza fini di lucro che organizza e promuove due volte l’anno a Napoli Discodays, la fiera del disco e della musica. Il testo è a cura di Nicola Iuppariello ed è edito da Zona. Il volume rappresenta, a tutti gli effetti, un punto di riferimento per i cultori del vinile ma anche per chi, ancora giovanissimo, vorrebbe avvicinarsi ad un supporto musicale dal fascino inalterato ed inalterabile.
Lungi dal voler auspicare un ritorno esclusivo all’utilizzo del vinile, il libro mira, piuttosto, alla creazione di un network tra persone legate da una passione comune. Condivisione, scambio, incontro, esperienze, emozioni sono gli ingredienti principali di questa interessante raccolta, introdotta dalla prefazione di Renzo Arbore. Il popolare artista si sofferma a lungo sul valore emozionale del vinile e sul periodo in cui, durante la sua attività di Dj, ebbe modo di innamorarsi del vinile. La globalizzazione, l’avvento dei motori di ricerca e degli strumenti di ascolto e compravendita digitale hanno decimato i piccoli rivenditori, quelli dove ci si incontrava, si parlava di musica e si condivideva la propria vita. Allo stesso tempo, però, è aumentata la specializzazione e la capacità gestionale delle vendite. Il risultato di questo trend è chiaramente tangibile nelle testimonianze raccolte e proposte nella sezione dedicata ai titolari di negozi di dischi italiani che hanno voluto raccontare la propria storia e gli aneddoti più interessanti, legati alla propria attività commerciale. Storie di persone che hanno basato la propria vita sulla musica, lanciandosi in vere e proprie crociate, che li hanno condotti alla conoscenza di persone e realtà di ogni genere.
Scheda dopo scheda, la parola “crisi” è sicuramente la più ricorrente ma, in ogni documento, l’epilogo è sempre all’insegna dell’ottimismo. La chiave per riuscire nei propri obiettivi è l’impegno, la ricerca, lo studio, la perseveranza, la voglia di mettersi in gioco, la consapevolezza di poter anche sbagliare e di poter porre rimedio ad eventuali errori di valutazione. “Vinilici” è anche, e soprattutto, una sorta di vademecum per collezionisti di vinile ed aspiranti tali; ecco perché la sezione più ricca e più eterogenea è quella dedicata ai collezionisti. Figure quasi mitologiche, “metà uomo-metà disco” che hanno dedicato tutta la propria vita, o gran parte, alla raccolta, all’ascolto, alla ricerca della musica. Le loro collezioni sono simili a vere e proprie gallerie d’arte, miniere preziose da cui attingere un fiume di prezioso nettare con cui deliziare corpo e spirito.
Sacrifici, rocambolesche avventure, appassionanti ricerche sono gli elementi che popolano le vite e le storie di persone che hanno messo a disposizione anche i propri recapiti e-mail per innescare e potenziare un meccanismo di scambio e arricchimento reciproco. Pazienza e fortuna sono gli assi nella manica di questi eroi che del vinile hanno fatto un vero e proprio stile di vita. Le “vie del vinile” si esauriscono, infine, col calendario delle mostre e delle fiere del disco in vinile in Italia: una ricca ed esaustiva proposta per tutte le tasche e tutte le età.
Deborah Iurato è una cantante siciliana di 22 anni, nota al pubblico televisivo per essere stata una degli allievi più apprezzati dell’ultima edizione di Amici 13. Prescindendo dal legame della ragazza con il talent show, in questa sede ci concentreremo sull’approfondimento del suo ep d’esordio, intitolato, per l’appunto “Deborah Iurato”. Il lavoro discografico è stato prodotto da Mario Lavezzi e si compone di 7 tracce in cui spicca la fresca e potente vocalità della giovane interprete. Anticipato dal singolo profumato di spunti folk, intitolato “Danzeremo a luci spente”, questo breve lavoro contiene due o tre testi particolarmente azzeccati, sia per quanto riguarda il contenuto sia per la modalità con cui Deborah si è appropriata delle parole per dare loro una nuova prospettiva interpretativa. Tra questi c’è “Piccole cose”, il bellissimo brano scritto da Lorenzo Vizzini e che rappresenta un vero e proprio inno alla positività: “Se cadrai tante volte, ti alzerai più forte” e poi, ancora, “sono le piccole cose a cambiarci la vita”, una riflessione profonda e delicata, qualcosa che si discosta dal grigiore emotivo a cui ci siamo ormai abituati. “Anche se fuori è inverno” è il singolone firmato da Fiorella Mannoia e Bungaro. Il testo parla di una donna che riacquista sicurezza e fiducia in se stessa, la consapevolezza dei propri mezzi e delle proprie misure.
L’altro brano che vale la pena citare è “Ogni minimo dettaglio” : anche in questo caso la protagonista è una donna che prende coscienza di quello che vuole e che non è disposta a scendere a compromessi. “L’oro di cui siamo fatti” pare cucito su misura per la Iurato mentre molto meno riuscito è, invece, il brano intitolato “A volte capita”: i vocalizzi di Deborah finiscono per risultare banali e a tratti fastidiosi. La versatilità della voce della giovane cantante rappresenta un punto di partenza importante e, in un momento cruciale per la sua carriera, per lei sarà fondamentale evitare passi falsi e concentrarsi sulla cifra stilistica che possa esaltare al meglio le evidenti risorse di cui dispone.
Si è tenuto lo scorso 25 maggio “Musica per Gatta: concerto in una stanza”, l’evento organizzato per sostenere un nuovo progetto della Mad Enternaiment, la factory fondata a Napoli da Luciano Stella, Antonio Fresa e Luigi Scialdone, che ha prodotto l’apprezzatissimo film d’ animazione di Alessandro Rak, “l’Arte della Felicità”. L’idea alla base del miniconcerto nasce dalla ricerca di fondi per la realizzazione di una nuova Gatta Cenerentola, una fiaba emotiva, visionaria, romantica, musicata dallo struggente e malinconico sound della canzone napoletana. Dopo aver lanciato su www.kisskissbankbank.com/it una campagna di raccolta fondi, l’iniziativa ha trovato il sostegno di alcuni dei più validi musicisti della città di Napoli, i quali hanno accettato di esibirsi presso gli studi di registrazione della Mad Enternainment in Piazza del Gesù.
L’intreccio tra musica e immagini, a cavallo tra tradizione e innovazione, ha trovato spazio nelle voci e negli strumenti di giovani talenti in grado di rileggere con classe ed eleganza le grandi pagine del prestigioso passato musicale partenopeo. Ad accogliere il pubblico durante le quattro sessions (ore 17.00 – 18.00 – 19.00 – 20.00) i produttori Mad Entertainment, il regista Ivan Cappiello e l’Art director Marco Galli, che ha realizzato per la campagna un’esclusiva illustrazione donata ai partecipanti.
Ad inaugurare la godibilissima scaletta, Giovanni Block, accompagnato dal mandolino di Luigi Scialdone, sulle note di “Palomma e notte” seguita dalla tormentata ballad, scritta proprio dal giovane cantautore, intitolata “La neve che accadrà”. Il secondo artista ad esibirsi di fronte ai 20 fortunati spettatori della prima session, è Luca Di Maio. Il cantautore ha cantato la struggente “Buonanotte Irene” e “Scetate”, un brano risalente al lontano 1887 che rappresenta un prezioso ricamo musicale della tradizione partenopea. La scaletta è davvero molto serrata, ed è il turno del terzo artista in programma. Si tratta di Claudio Domestico, in arte Gnut. L’artista canta subito “Solo una carezza”, uno dei brani più drammatici del suo ultimo album di inediti, intitolato “Prenditi quello che meriti”. Il secondo brano è, invece, “Passione”, un pezzo a cui Gnut è particolarmente affezionato e che rappresenta, ormai, un vero e proprio cavallo di battaglia del giovane cantautore. Tommaso Primo ed Enzo Foniciello alla chitarra si esibiscono, invece, sulle note di “Addore”, tratta dall’ep di Tommaso “Posillipo Interno 3” e “Reginella”. La parentesi più movimentata è ad opera di Dario Sansone, voce e frontman dei Foja che, insieme a Scialdone , ha eseguito “A Malìa”, brano tratto dall’ultimo disco “Dimane Torna ‘o sole” in concorso per il Premio David di Donatello 2014 e “Carmela”, tanto per ribadire che “Nun è acqua ‘o sangue dint’ ‘ vvene”. A chiudere il live sono Antonio Fresa e Luigi Scialdone con due brani strumentali: il primo è “Vurria Addeventare”, tratto da “La Gatta Cenerentola” di De Simone mentre il secondo è il “Tema dei due fratelli”, tratto dalla colonna sonora del film “L’Arte della Felicità”.
Emozioni preziose come piccole gemme racchiuse in uno scrigno da tramandare di generazione in generazione, quelle offerte da Mad Enternaiment, che si pone come obiettivo principale quello di salvaguardare l’arte della tradizione per lasciarla germogliare seguendo l’onda della creatività.
I Park Avenue sono un gruppo rock italiano, nato nel novarese, composto da Federico Marchetti (voce e chitarra), Marcello Cravini (chitarre), Alberto “Spillo” Piccolini (basso) e Vinicio Vinago (batteria). La versatilità del gruppo rappresenta, a pieno titolo, uno dei punti di forza di questa compagine musicale che ha avuto l’opportunità di girare l’Europa e toccare con mano i più disparati contesti artistici. Dopo l’esordio anglofono con “Time To”, i Park Avenue presentano “Alibi”, un album composto quasi interamente da canzoni in lingua italiana. Abbiamo raggiunto Federico Marchetti, frontman della band, per conoscere più a fondo il percorso del gruppo e i contenuti del loro ultimo disco.
“Alibi” arriva a 4 anni di distanza dall’esordio di “Time to”… cosa hanno fatto e quali passi hanno compiuto i Park Avenue durante questo tempo?
In questi 4 anni abbiamo ovviamente promosso il primo disco, abbiamo girato molto per l’Italia e abbiamo tenuto molti concerti… quello che ci piace di più è proporre la nostra musica dal vivo, siamo stati in giro 2 anni e nel frattempo abbiamo cominciato a scrivere il nuovo disco. Alla fine di questo percorso ci siamo accorti che stavamo un pochino cambiando la nostra direzione…A livello macroscopico la grande differenza sta nel fatto che, mentre il primo disco era in inglese, il secondo è per l’80 per cento cantato in italiano; questo è stato un grosso passo per noi e probabilmente è frutto del rapporto che abbiamo col pubblico.
A cosa si deve la scelta di questo titolo per il disco?
Il ragionamento che ho fatto nello scrivere i testi è il seguente: viviamo un momento in cui si parla tanto di crisi, è sempre colpa del mondo esterno, non c’è lavoro, non c’è prospettiva, siamo tutti un po’ tristi e avviliti e questo, per carità, è un dato di fatto però il messaggio è questo: dobbiamo cercare di avere meno alibi possibili. Partendo da noi stessi possiamo cercare di cambiare la nostra situazione, il nostro è un invito a tenere duro.
Qual è la cifra stilistica musicale che sentite più vostra?
Siamo più o meno sempre gli stessi… Scriviamo le nostre canzoni sempre prima in inglese per cercare di dare un’immediatezza all’ascolto delle canzoni. L’italiano è più cantautorale mentre l’inglese è un po’ più commerciale, forse grazie alla presenza di frasi molto più corte, il nostro obiettivo è, in ogni caso, quello di essere incisivi…
Come avete lavorato alla scrittura e all’arrangiamento dei brani e quali sono i temi cardine attorno a cui ruota questo progetto?
Creiamo tutto in sala prove, suoniamo molto, improvvisiamo, cerchiamo di lasciarci trasportare dal nostro umore nel suonare tentando di non creare canzoni molto lunghe a livello di minutaggio e cercando di essere immediati nel messaggio testuale ma non scontati a livello musicale. Per quanto riguarda gli arrangiamenti, i nostri brani sono costruiti su intrecci di chitarre, abbiamo una formazione base con due chitarre, un basso e una batteria, anche se ogni tanto una chitarra viene sostituita da un pianoforte. Anche la musica è testo e noi cerchiamo di essere riconoscibili anche dal punto di vista sonoro, non bisogna sottovalutare nessuno dei due aspetti.
Chi è, secondo voi, il “social lover”?
In questo brano prendiamo un po’ in giro quelle persone che, all’interno della sfera social, sembra abbiano un alter ego molto diverso da come sono in realtà… anche tra le nostre amicizie, ci sono quei tipici amici che quando ti scrivono un messaggio sono dei leoni, poi magari li vedi in giro e neanche ti salutano, proprio come se fossero due persone diverse…quando noto questa discrepanza mi faccio delle domande e questa canzone è a metà strada tra critica e presa in giro…
“Le cose parlano, straparlano, complottano, si alleano con lei” è uno dei titoli più enigmatici dell’album…qual è la chiave interpretativa di questo brano?
Si tratta di un brano leggero, proprio per questo è a metà della track list. Questa canzone rappresenta un volta pagina all’interno del disco e ho pensato di darle un titolo che spiccasse tanto rispetto agli altri per fare in modo che potesse subito colpire chi legge i titoli delle canzoni. Per questo ho preso quasi tutta la frase del ritornello e l’ho messa nel titolo. In parte è stata anche una scelta un po’ provocatoria…
Qual è, invece, il testo a cui siete più legati?
Le preferenze del gruppo ricadono tutte su “Alibi”, la canzone che ci rappresenta di più nel disco e che ne tira fuori il messaggio principale.
La dimensione live è indubbiamente quella in cui riuscite ad esprimervi al meglio… che tipo di concerto è il vostro?
Quello che noi facciamo dal vivo rappresenta l’amplificazione di quello che accade nella nostra sala prove, ci divertiamo veramente tanto a suonare, tutto è molto poco studiato, i nostri concerti non prevedono una scaletta fissa, decidiamo al momento, a seconda di come stiamo, di come ci sentiamo, di dove ci troviamo. Siamo liberi di divertirci e cercare di essere sempre al 100 %, questa cosa viene apprezzata anche da chi si segue. A volte ci sono persone che vengono ad ascoltarci più volte e ci dicono sempre che ogni nostro concerto è diverso. Il fatto che ci divertiamo nel suonare per noi è fondamentale, fare le cose come dei robot dopo un po’ potrebbe annoiarci quindi cerchiamo di tenere viva la nostra voglia di stare insieme suonando.
Che riscontri avere ricevuto durante i concerti all’estero e gli opening act di artisti italiani come Ligabue, Antonacci, Baustelle…? Quali differenze avete notato in contesti così diversi tra loro?
All’estero il pubblico ci ascolta di più, le persone hanno meno preconcetti, c’è una cultura di base più propensa all’ascolto della musica dal vivo e a dare un’opportunità anche a un gruppo che magari viene ascoltato per la prima volta. In Italia, invece, il pubblico è tendenzialmente più diffidente anche se se devo dire che, in occasione delle nostre operture, ci è andata piuttosto bene! Abbiamo aperto due concerti di Ligabue negli stadi ed è stata un’esperienza veramente molto bella. La prima volta avevamo un po’ paura invece il pubblico è stato molto corretto e ci ha davvero ascoltati. So di altri gruppi, in altri contesti, che invece si sono trovati di fronte ad un pubblico che non ha voluto ascoltarli, pur trattandosi di realtà musicali molto valide… Questo accade perché il pubblico italiano richiede molto più tempo per essere educato all’ascolto di qualcosa di nuovo e di diverso… Noi abbiamo assaggiato un po’ tutto però ci siamo trovati molto bene in tutte le situazioni perché se la musica è buona la gente ascolta sempre con piacere… Dal vivo riusciamo a mettere in evidenza le nostre sfaccettature in base al contesto in cui ci troviamo e sappiamo adattarci in maniera naturale al contesto.
In quale direzione vi state muovendo adesso e che prospettive ci sono sia per il vostro percorso artistico che per il vostro disco?
Adesso siamo molto concentrarti nella promozione del disco, siamo pronti a fare dei concerti estivi, a farci sentire, a incontrare il pubblico tra piazze e Festival, finalmente si suona tanto e si registra meno. Stiamo a cominciando a comporre anche nuove cose, abbiamo la nostra linea e il nostro sound rock anche siamo comunque aperti a tutto, senza nessun preconcetto.
Si ringraziano Federico Marchetti e Alessandra Placidi
“Da sule nun se vence maje” è il nuovo singolo dei Foja. Il testo è il frutto della collaborazione tra la band ed il noto attore e regista napoletano Alessandro Siani. Il brano rispecchia, in tutto e per tutto, l’anima e l’ormai riconoscibile cifra stilistica dei Foja che, all’interno del proprio sound, riescono a coniugare brillantemente elementi della tradizione classica napoletana con la più avanguardistica innovazione. Questo progetto rappresenta un nuovo incoraggiante passo di una formazione musicale consolidata che, forte di un background culturale molto radicato all’interno del proprio dna artistico, riesce ad attingere anche da altre culture nel mondo, creando una miscela musicale immeditata ed efficacemente incisiva. Un tripudio incalzante di chitarre acustiche ed elettriche, sposa il fascino e la musicalità della tradizione classica, attraverso il mandolino di Luigi Scialdone, senza mai rinunciare ad una texture semantica qualitativamente elevata.
Foja
L’uso della lingua napoletana conferisce un valore aggiunto al contenuto dei testi, così come avviene in quello che ci accingiamo ad approfondire. “Simme ’na cartulina maje mannata, ’sti panne spase ormaje se so’ asciuttate, e je nun sogno cchiù e je nun sogno cchiù”: poche parole riescono a racchiudere immagini, storie, vite vissute. Il linguaggio figurato è più espressivo che mai, sogni, vizi e virtù prendono vita lasciandoci addentrare nel ritornello della canzone: “Ma po’ ce staje tu e je nun penso a niente cchiù, si po’ ce staje tu ca me truove quanne saje, ca me lieve ’a mieze ’e guaje pecché da sule nun se vence maje”: Ma poi ci sei tu ed io non penso più a niente, se poi ci sei tu, che mi trovi nei momenti che solo tu sai riconoscere, tu che mi togli dai guai perchè da soli non si vince mai.
Sì, da soli non si vince mai, la grande verità racchiusa in questa frase che, tra l’altro, dà anche il titolo al brano, rappresenta, in realtà, la chiave di volta per comprendere cosa non funziona più della nostra umanità ripiegata su se stessa, tesa all’annichilimento e all’egocentrismo distruttivo. L’unione delle menti, dei cuori, degli spiriti, degli intenti, degli obiettivi è quanto di più forte possa esserci e i Foja hanno saputo raccontare questa necessità con grazia ed originalità. Seguendo il file rouge di questo intento anche nel videoclip del brano, con la regia di Dario Calise, c’è la partecipazione attiva dei fan, che hanno cantato il ritornello su una base postata sul profilo facebook dei Foja. Prodotto da Graf srl – Mad Entertainment 2014 e pubblicato da Full Heads, il video è un prodotto visuale creativo e d’impatto: a ulteriore conferma della “doppia vita” artistica del frontman Dario Sansone, che alla sua attività di cantante vede affiancata quella di affermato disegnatore, le immagini sono state elaborate come se si trattasse di disegni e, insieme al testo della canzone sincronizzato con le immagini, e ai riquadri con i fan, il risultato è un bel patchwork di volti e sorrisi.
Un altro importante tassello artistico per la carriera dei Foja che, con il loro brano intitolato “’A malia”, tratto dall’ultimo disco “Dimane Torna ‘o sole” sono anche in concorso per il Premio David di Donatello 2014 come miglior canzone contenuta all’interno della colonna sonora del film “L’arte della felicità” di Alessandro Rak. Una realtà musicale davvero originale e incoraggiante per quanti abbiano ancora voglia di mettersi in gioco e credere nelle proprie potenzialità.
Crediti
Voce e chitarra: DARIO SANSONE / Chitarra elettrica: ENNIO FRONGILLO / Mandolino: LUIGI SCIALDONE; Basso: GIULIANO FALCONE / Batteria: GIOVANNI SCHIATTARELLA / Cori: GNUT
“Comete” è il titolo del primo singolo estratto dal nuovo album di inediti de Le Strisce, su etichetta Suonivisioni. Il disco vedrà la luce soltanto tra qualche mese ma, in occasione della pubblicazione del videoclip ufficiale della canzone, girato dal regista e video maker Tiziano Russo, ci sembrava opportuno approfondire la conoscenza di un testo che anticipa un lavoro discografico dai presupposti interessanti. “Pensi troppo, dormi male, sputi sulle webzine e ti senti intellettuale citando Baudelaire, spleen”, Davide Petrella (Voce -Testi), Francesco Zoid Caruso (Basso), Enrico Pizzuti (Chitarre), Andrea Pasqualini (Chitarre), Dario Longobardi (Batteria) descrivono la tristezza dei giorni nostri rigettandola in modo aggressivo e diretto. La crudezza espressiva delle parole si accompagna ad un uso massiccio della chitarra e alla vocalità leggermente graffiata di Davide Petrella. Anche nel video caos, disordine e violenza sono gli elementi che saltano subito all’occhio.
“È tuo il disordine, che caz*o vuoi da me?”: ecco la sintesi dell’egoismo difensivo in cui abbiamo imparato a rifugiarci per scampare al dolore e al furente abbattimento dei nostri sogni. “Prima alternative, indie, rapper, hipster è solo moda, tutto gira, tornerai triste”: tutto è effimero, identificare se stessi in una corrente di pensiero o in una moda è qualcosa di temporaneo, destinato ad estinguersi, qualcosa che finirà per rimetterci completamente a nudo, prima di fronte a noi stessi e poi di fronte a tutti gli altri. “Se non puoi chiamarla arte allora è do it yourself?”: in questa frase Le Strisce tracciano i presupposti per una riflessione più approfondita: cosa possiamo definire arte? Chi può dirci cosa è arte e cosa no? Qual è il confine che determina il passaggio tra un prodotto indipendente e un progetto “mainstream”? La storyline del videoclip accompagna queste parole con un’aggressione a degli artisti ed un maltrattamento di gruppo, da cui non usciranno né vincitori nè vinti. Un nichilismo di fondo attraversa queste ed altre incertezze proposte dai ragazzi de Le Strisce che, nel titolo del brano, propongono un gioco di parole a metà strada tra identificazione generazionale “come te” ed una più onirica suggestione tutt’altro che lapalissiana… Quello che ci rimane da scoprire è se noi ci facciamo ancora delle domande o se ci siamo rassegnati a vivere alla giornata seguendo le nostre personalissime “comete”.
Lavinia Mancusi @Auditorium Parco della Musica Roma Ph Roberta Gioberti
Lo scorso 23 maggio, nella Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, Lavinia Mancusi e Gabriele Gagliarini, insieme con l’orchestra di musica greca Evì Evàn, hanno dato voce alle armonie e ai ritmi che abitano il bacino del Mar Mediterraneo. Un omaggio personalissimo ed originale alla storia di un territorio che, anche dopo millenni, continua ad emanare fascino e a trasudare bellezza. Vento, acqua, terra, fuoco sono ancora gli elementi chiave per interpretare le sfumature del calderone di storie che, artisti di tutto il mondo ci raccontano, cullando sogni, ricordi e speranze.
Lavinia Mancusi @Auditorium Parco della Musica Roma Ph Roberta Gioberti
“L’uomo è diventato stanziale ma la musica è rimasta nomade e noi e la nostra cultura siamo i frutti di tale movimento”, questo è il messaggio racchiuso in “Semilla”, il lavoro discografico che Lavinia Mancusi cantante, violinista e percussionista ha creato insieme a Gabriele Gagliarini, percussionista di origini peruviane, tessendo le trame di un interessante percorso di ricerca strumentale, inseguendo contaminazioni fra tradizioni centenarie e sensibilità contemporanee.
Gabriele Gagliarini @Auditorium Parco della Musica Roma Ph Roberta Gioberti
Termine derivato dallo spagnolo e indicante la “semina”, “Semilla” sparge semi musicali che, pur nella loro diversità, germogliano vicini e ci parlano di un’umanità nomade e poetica.Il disco si apre con “Angela Rè” un brano scritto da un anonimo napoletano del XVIII secolo e arricchito da un suggestivo e coinvolgente arrangiamento, perfetto per mettere in evidenza l’intensa e potente vocalità di Lavinia.
Lavinia Mancusi @Auditorium Parco della Musica Roma Ph Roberta Gioberti
Davvero molto riuscita è “Alba (da Durazzo ad Otranto)”, la pizzica ospita il violino di Olen Cesari creando un amalgama sonoro di pregevole qualità. “Omenaje A Rosa (Bottana De To’ Ma)” e “Omenaje A Rosa (Cu’ Ti Lu Dissi)” sono grida di dolore a cui è impossibile rimanere indifferenti. La malinconia impressa ne la “Tarantella del Bosforo” ritrova lo stesso mood anche nello struggente “Fado Romanesco ”. Il disco presenta una struttura ciclica, il brano di chiusura è, infatti, “O Sole ‘E Pulecenella”: dopo essersi spinta, in lungo e in largo, attraverso le culture del sud del mondo, Lavinia Mancusi ritorna al luogo di partenza piena di tesori e ricchezze da reinvestire nella prossima tappa di una carriera destinata a brillare.
Raffaella Sbrescia
Fotogallery a cura di: Roberta Gioberti
Lavinia Mancusi @Auditorium Parco della Musica Roma Ph Roberta Gioberti
Lavinia Mancusi @Auditorium Parco della Musica Roma Ph Roberta Gioberti
@Auditorium Parco della Musica Roma Ph Roberta Gioberti
@Auditorium Parco della Musica Roma Ph Roberta Gioberti
Lavinia Mancusi @Auditorium Parco della Musica Roma Ph Roberta Gioberti
“Maestri distorti” è il progetto discografico, pubblicato nel 2013, dagli Occhioterzo, il trio nato nel 2009 che riunisce Giampiero De Leonardis, Antonello Nitti e Francesco Maria Antonicelli. Il disco, pubblicato su etichetta One More Lab e Don’t Worry Records, racchiude 13 brani caratterizzati da un anima genuinamente rock. Immediatezza, istintività e attenzione per la parola scritta sono i dettagli su cui è importante concentrarsi per capire che, oltre l’emozione e la dirompente energia, c’è un contenuto, frutto di una riflessione. Come detto, gli arrangiamenti si concentrano tutti sul genere rock, le chitarre degli Occhioterzo picchiano duro con la precisa intenzione di graffiare quanto basta per lasciare un segno nitido.
Occhioterzo
Tra le tracce più interessanti, citiamo “Mangiando Eva”, un brano che si destreggia tra “chi non dice, chi non sa, chi non è, chi non ci sta”. L’irriverente testo de “La Rivoluzione delle Scimmie parlanti” ci mette con le spalle al muro tra desideri privi di cuore e l’amore che conviene. La scia nebulosa e confusionaria di “Marasma” si accompagna all’enigmatica filosofia di “Babilonia”. La destabilizzante scarica strumentale di “Nella torma” trova esaurienti risposte di denuncia ne “L’Impero”, un testo pregno di considerazioni sulla nostra attualità. Il disco si conclude con “Meglio quando smetti”: 10 minuti di musica in cui gli Occhioterzo spaziano tra l’italiano e l’inglese, il presente ed il passato storico, offrendo un esauriente campionario aperto alla ricerca e alla sperimentazione. Da approfondire con un attento ascolto dal vivo!
Nel cuore di Piazza Bellini, uno dei più rinomati ritrovi culturali del centro storico di Napoli, sono ritornate le serate musicali del Caffè Lettarario Intra Moenia, organizzate all’interno della rassegna di concerti estivi, intitolata “Mercoledì Note”. Dalle 21.00 a mezzanotte di ogni mercoledì, si terranno, infatti, degli appuntamenti musicali di elevata caratura qualitativa e ad ingresso gratuito.
Ph Luigi Maffettone
L’ultimo seguitissimo evento, in ordine di tempo, si è tenuto lo scorso 21 maggio e ha visto la partecipazione del compositore e sassofonista Daniele Sepe, accompagnato dalla vellutata e preziosa voce di Floriana Cangiano e da Tommy De Paola (tastiere), Davide Costagliola (basso), Paolo Forlini (batteria).
Ph Luigi Maffettone
La serata ha rappresentato il culmine di una serie di laboratori iniziati proprio all’Intra Moenia e proseguiti all’Ex Asilo Filangieri di Napoli e allo Jarmusch Club. Gli artisti hanno ripercorso insieme le tappe musicali di questo viaggio artistico proponendo al pubblico un’eterogenea miscellanea: Mingus, Monk, Coltrane, Rollins, Hancock, Corea, Evans, Jarrett, Zawinul, Shorter, Pascoal, Barbieri, Zappa, Davis, Gershwin, Cole Porter sono alcuni dei grandi nomi al centro di una performance che ha racchiuso la summa di un processo di studio, analisi e ricerca, mirato al completo coinvolgimento del pubblico.
Ph Luigi Maffettone
L’appuntamento con i “Mercoledì Note” continuerà sino a metà ottobre: mercoledì 28 maggio toccherà agli Slivovitz con il “PS3″, (Pietro Santangelo trio); mercoledì 4 giugno sarà la volta degli Speak Easy con la loro musica jazz; mercoledì 11 giugno suoneranno gli Anima Nova la formazione che offre una coinvolgente bossa nova; mercoledì 18 giugno sarà all’insegna della musica popolare con il gruppo vesuviano dei Rareca Antica.
Ph Luigi Maffettone
Una lunga serie di serate in compagnia della buona musica che vedranno una naturale continuazione nei mesi successivi e che avranno la medesima finalità: coinvolgere i cittadini in un percorso formativo in grado di intrattenerli in maniera colta e raffinata senza per questo recare disturbo e ledere le legittime esigenze di tranquillità dei residenti della piazza.
“FolkRockaBoom” è il terzo album de il Pan Del Diavolo. Il duo Folk /Rock’ n’ Roll formato da Pietro Alessandro Alosi (chitarra, grancassa e voce) e Gianluca Bartolo (chitarra e voce) si è immerso nel polveroso deserto dell’ Arizona e, tra immense distese e selvagge atmosfere western, ha dato vita ad un progetto discografico verace ed energico. Registrato insieme ad Antonio Gramentieri (Sacri Cuori) e mixato da Craig Schumacher, l’album, su etichetta La Tempesta Dischi, sarà pubblicato il prossimo 3 giugno. Le 12 tracce che lo compongono spaziano tra folk, country e rock. I tre generi si fondono all’interno di un’infuocata lotta esistenziale senza esclusione di colpi.
Polvere, furia, vento e schitarrate sono il companatico de Il Pan Del Diavolo che, con l’obiettivo di trasferire nei loro stessi brani lo spirito avventuriero che ha contraddistinto la fase di realizzazione del disco, hanno registrato l’album in presa diretta. Forza, istinto, ragione e ribellione sono gli elementi chiave per interpretare lo spirito di “FolkRockaBoom”, la cui title track è anche la traccia d’apertura: senza capi né professori, ci si difende da soli, aspettando, pazientemente, la fine del nemico.
La costante penombra in cui si muovono i Pan Del Diavolo in questo lavoro si incontra e si scontra con il piglio energico della ritmica scelta, simile ad una furiosa cavalcata in terre aride. “Da quando sono nato ho sempre viaggiato, stavo cercando il mio posto nel mondo”, così inizia “Mediterraneo”, la colonna sonora di chi vive con la sabbia tra le mani e i piedi nudi per terra, di chi non conosce la parola pace, di chi vive in una fetta di mondo che tutti vogliono spartirsi. Lì, lungo le rive del Mediterraneo, le teste ruzzolano, annegano, spariscono ma “questo non è l’oceano, questo è il Mediterraneo”, ogni morte tornerà a distruggere l’assassino.
Inquietudine e angoscia attraversano le parole di “Vivere fuggendo”… “Chi sta sbagliando cosa? Chi è la spina, chi è la rosa?” Un Amletico interrogativo, destinato a rimanere senza risposta. Desiderio e spavento, si rifugiano nella melodia, nella follia e nelle ombre de “Il meglio” mentre tutto il pathos emotivo riemerge nella grintosa parte strumentale relegata alla fine del brano.
“Cattive idee” è uno dei testi più intensi del disco: “Il tempo passa, io oggi resto”, scrivono e cantano i Pan Del Diavolo, lasciando che la nostra mente si barcameni tra “Saggi consigli, ispirazioni, cattive idee, cattive azioni, cieli grigi e scuri”. Intenso e potente è il mantra di “Io mi do”: “Io non mi curo degli altri, non penso a quello che faccio, la regola è essere positivo, io mi metto sempre in gioco”, un flusso di coscienza libero e coinvolgente che si scontra con una scarica di NO nel finale: da brivido!
“Devo spremere la vita almeno in un’avventura che valga la pena vivere”, questo il messaggio centrale di “Nessuna certezza”. Tra grida incessanti e la ricerca di canzoni si arriva a “Mezzanotte”, il momento in cui la stanchezza del giorno non ci lascia la forza di parlare ma ci permette di convivere con la consapevolezza di quello per ci serve per sopravvivere.
La ribelle crudezza selvaggia dello strumentalismo magnetico di “Aradia”, il brano realizzato in collaborazione con Andrew Douglas Rothbard, rappresenta una scarica adrenalinica dall’effetto purificante. La tappa necessaria per affrontare “Il Domani”, la traccia di chiusura del disco che coinvolge i Sacri Cuori e che ci traghetta in un dolce mondo fatto di sogni, dove le canzoni conteranno più dei soldi se ci saranno le stelle. Sono i sogni del mondo a popolare le allucinazioni di un viaggio nel deserto che, giunto alle ultime drammatiche battute, ci riporta alla nostra inquietante realtà.
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